Sartor Resartus, Le tailleur retaillé[1]. Emilia Cece
Con
l’introduzione della topologia, nel IX°, X°, XI°, XII° Seminario, J.
Lacan colloca il desiderio dell’analista nelle superfici topologiche
asimmetriche. Si tratta di uno sviluppo che parte dall’immagine virtuale
per precisare la teoria psicoanalitica intorno ai concetti di: buco,
bordo, taglio.
Precisamente il desiderio dell’analista è ben
rappresentato dalla bottiglia di Klein, costituita di un unico piano
ritorto su sé stesso: una evidente asimmetria rigorosamente chiamata a
rappresentare uno spazio in cui c’è continuità della superfice interna
con l’esterna, in cui è più facile entrare che uscire, rappresentazione
pura dell’individuo nella sua solitudine. L’attraversamento del piano,
date le caratteristiche, è consentito attraverso il passaggio ad una IV°
dimensione che ha una sua consistenza solo in logica matematica ma
che non è accessibile alla reale esperienza umana poiché è solo
ipotizzabile attraverso postulati [2].
Questo piano ritorto, secondo Lacan, risponde meglio della consegna
all’analista poiché questi è chiamato ad accogliere il soggetto e la sua
sofferenza, il suo trauma potremmo dire, sospeso fuori logica e fuori
razionalità, in un tempo che si configura come una interruzione
cronologica che si ripete.
Ciò che riguarda la psicoanalisi è
l’attualizzazione di questa interruzione che chiama in causa il
desiderio dell’analista aprendo ad una scansione temporale ed al nuovo
tempo logico.
Per questa via, intuitiva, veniamo introdotti al
concetto del « taglio » come desiderio che rivela una superfice « in quanto
acosmica ».
E’ proprio l’acosmico, l’orribile a vedersi, che nella
bottiglia di Klein rimanda alla reversibilità rappresentata
metaforicamente dalla nuova topologia. Il cambio di direzione infatti,
affidato al taglio sapiente dell’analista, per Lacan non è e non può
essere un semplice passaggio dal dritto al rovescio come potremmo
immaginare per un vestito rivoltato.
Il riferimento al sarto però è
pertinente: Sartor Resartus è un testo molto sui generis, scritto da T.
Carlyle nel 1831. Un libro bizzarro risultante da un improbabile
miscellanea di appunti filosofici e non (comprese alcune liste di spesa
del lattaio che si mescolano curiosamente a riflessioni e pensieri)
raccolti da un certo Diogene Taufelsdrockh (personaggio inventato
letteralmente Figliodidio Cacatodaldiavolo).
Tutto il testo è
votato al nonsense spinto alle estreme conseguenze, costituito dapprima
da un trattato di estetica dell’abito, successivamente tratta
l’autobiografia di D. Taufelsdrockh. Ironizza sull’uso degli abiti in
rapporto al ruolo sociale e poi sull’importanza dei Nomi Propri
nell’influenzare il destino delle persone. Taufeldrockh rivela di
essere venuto a sapere dalla madre, solo dopo la morte del padre, di
essere un trovatello consegnato ai genitori da uno sconosciuto con una
somma di danaro sufficiente a tirarlo su negli studi. Questa sua
particolare condizione in relazione al nome del padre ed al suo nome
proprio, colloca il destino del protagonista, in una condizione
sprezzante nei confronti della vita, del pericolo e dell’amore.
Lacan ironizza sulle similitudini tra questo personaggio (che in
definitiva sceglie di rimanere un pellegrino dell’amore quale metafora
dell’uomo senza fede, pronto ad intervenire con spirito creativo
ogniqualvolta il prossimo domanda) e lo psicoanalista. Nella lezione
del 3 febbraio 1965 [3],
egli si chiede se il Sartor Resartus possa essere una prefigurazione
di ciò che Marx e Freud desiderarono per il soggetto qualche decennio
dopo.
Il destino del Sartor si compie infatti nel raccogliere
questi frammenti da ricucire per dare consistenza ad un romanzo intorno
ad una figura fittizia, per l’analista si tratta invece di evitare che
il « Sarto ritagliato » si trovi ad uscire di scena come uno dei
peggiori resti mentre ancora raccoglie gli scampoli.
Ci sono tagli
buoni e tagli cattivi, raccomanda J. Lacan, ricordando che la funzione
del desiderio dell’analista sulla superficie resa riconoscibile dal
taglio, è « celui qui sait/tailler », che sa tagliare una
qualunque forma.
Il riferimento esplicito è al controtransfert ma
riconduce alla necessità di trovare il giusto vestito per abbigliare la
pratica e ricucirla con una teoria.
Se l’asse trasferale si ritorce
e si inverte intorno al punto della caduta dell’onnipotenza infantile
nell’oggetto a piccolo, in questo punto si gioca appunto l’apice della
funzione del desiderio dell’analista al quale si aprono due strade in
definitiva: o accomodarsi sul contro transfer facendovi la sua « fuga »,
o operare la differenza assoluta [4].
Questa seconda via, che opera nel taglio cioè nell’intervallo tra la
direzione e la sua inversione, denuncia anche che il desiderio
dell’analista non è un desiderio puro; ma di quale contaminazione si
tratterebbe mai se non quello relativo ad una scelta di posizione che
concerne l’etica fondante della stessa psicoanalisi?
Nel Seminario
XI° Lacan pensa il desiderio dell’analista in relazione all’ordine
simbolico, ma anticipa ed intravede lo sviluppo che gli sarà più chiaro
in seguito come quello del suo preciso rapporto con il reale.
Nel XII° seminario, raccomanda agli psicoanalisti di non fare la fine dell’asino di Buridano [5],
che nell’incapacità a risolvere il dubbio tra il bere ed il mangiare,
resta secco per aver troppo a lungo protratto fame e sete.
Possiamo leggere l’impasse dell’asino come quella di chi, fronte allo
sdoppiamento dell’oggetto infantile, nell’incertezza di prendere
posizione tra l’oggetto narcisistico e quello pulsionale, ci si
dimentica che la stessa bocca, mentre parla non chiede altro che
mangiare.
Allo psicoanalista-Sartor Resartus dunque, tagliatore e
ritagliato, non può sfuggire che le migliori parole rivestono come un
abito elegante l’idiozia dell’apparato pulsionale che si rivela sempre
acefalo.
Anche nella Proposizione d’Ottobre, Lacan,introduce un
riferimento all’abito e dice : « …Dobbiamo vedere cosa qualifica
lo psicoanalista a rispondere a questa situazione che, come si può
notare, non coinvolge la sua persona. Infatti, non solo il soggetto
supposto sapere non è reale, ma non è affatto necessario che il
soggetto attivo in questa congiunzione, glie ne faccia imposizione… E’
così poco necessario che di solito non è vero: lo dimostra nei primi
tempi del discorso un certo modo di rassicurarsi che l’abito non sta
bene allo psicoanalista- un’assicurazione contro il timore che egli vi
imprima, se così posso dire, troppo presto le sue pieghe. » [6]
La natura umana di parlessere, in sintesi, avvicina lo psicoanalista
all’analizzante nel comune destino di doversi affidare all’attribuzione
di una differenza di valori per orientarsi nelle proprie decisioni, più
che alla propria percezione.
Il gioco delle simmetrie del
transfert, si può spezzare a condizione che l’analista sia richiamato
dal suo desiderio all’etica della differenza assoluta. « Il
desiderio dello psicoanalista si riduce così alla sua enunciazione, la
quale può effettuarsi solo a condizione che egli intervenga nella
posizione della x: di quella stessa x la cui soluzione consegna il suo
essere e il cui valore si annota (-phi), la falla beante indicata come
la funzione del fallo da isolare nel complesso di castrazione, oppure
(a) per quanto la ottura con l’oggetto che si riconosce sotto la
funzione a cui si avvicina la relazione pregenitale. » [7].
Di questa differenza assoluta Lacan riparlerà ancora durante il suo
insegnamento, riferendo il valore in gioco sempre più precisamente
all’alternativa tra non avere il fallo o esserlo nella forma
dell’oggetto a piccolo. Il desiderio sarà di conseguenza quello di
darsi la possibilità di trovare in quest’alternativa una scappatoia:
inventare il taglio giusto da praticare per sfilarsi via dall’impaccio
di quel poco di intersoggettività a cui riporta il simbolico e
sorprendere il reale che incombe riconoscendogli il giusto valore.
Non si tratta quindi di una tecnica che attinge all’intelligenza,
quanto piuttosto ad una delicatezza che, sola, permette all’analista di
sorprendere ed al soggetto destituito di lasciarsi sorprendere
all’emergenza del reale ove si riconosce il residuo dell’eco del
trauma.
Alla Scuola degli analisti desideranti, Lacan rimanda
invece la funzione di poter abbigliare la falla con l’abito del taglio
giusto, con un sapere discreto e semplice, fondato sulla consapevolezza
che ciò che è forcluso dal simbolico, compare prima o poi nel reale.
[1]Faccio riferimento alla lezione del 3 febbraio 1965 inedito.
[2]Riccardo Carrabino, la lezione di Milano dell’Ottobre 2016, inedito.
[3]Lacan J. XII° seminario inedito.
[4]Lacan J., Il Seminario, libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi,
[5]Il paradosso logico dell’Asino di Buridano risale al 1295.
[6]Lacan
J. Testi riuniti da J.A.Miller, traduzione Antonio Di Ciaccia,Proposta
sullo psicoanalista della scuola, Altri Scritti, Biblioteca Einaudi,
2013 Torino, p.247
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Un desiderio che ex-siste
Massimo Termini
L’idea di qualcosa che si disarticola da un’altra, che attraversa un limite, che supera una soglia per passare a una dimensione differente, l’idea cioè di un uscire fuori da, senza per questo cancellare le tracce del legame con la condizione iniziale – che sebbene abbandonata rimane il riferimento in rapporto al quale, nel distacco, un termine di altro ordine si produce – è quanto ispira il concetto lacaniano di ex-sistenza [1]. Dire che qualcosa ex-siste significa affermare che ex-siste rispetto a qualcos’altro, a partire da un movimento che è insieme di astrazione e di estrazione, ed è questa particolare modalità di sussistenza che può essere attribuita al desiderio dell’analista.
Se per un attimo affianchiamo i due concetti, subito una prima formulazione si abbozza: il desiderio dell’analista è qualcosa che ex-siste. E, volendo indicare il riferimento in rapporto al quale ex-siste, non rimane che completare in questo modo l’affermazione: il desiderio dell’analista ex-siste al desiderio dell’analizzante; il suo campo di esistenza si costituisce estraendosi da lì, nel taglio, nella discontinuità.
Ma cosa implica formulare le cose in questo modo, se non considerare la categoria di ex-sistenza come una chiave di lettura da introdurre nel punto di massima investigazione in psicoanalisi? Come una categoria da instillare in quel passaggio cruciale isolato da Lacan nel momento della fine analisi? Conosciamo il modo con cui lo definisce: « il raccordo […] dove lo psicoanalizzante passa a psicoanalista » [2]. Ed è quanto può essere tradotto nei termini di un passaggio dove il desiderio dell’analista arriva ad ex-sistere fuori dalla logica, di per sé fantasmatica, che sostiene, per ciascuno, il proprio desiderio di analizzante.
Come immaginabile, molte sono le questioni che si raccolgono e si sviluppano intorno a questo punto. Dunque, mi limito a segnalarne una, e cioè come sia proprio l’ex-sistere a rendere conto del carattere specifico e inedito del desiderio dell’analista: un carattere incline al ‘disturbo’, un’inclinazione essenzialmente ‘disturbante’, che ben si rivela quando a sua volta è messo all’opera nella clinica.
Possiamo dire che la modalità della sua produzione non manca di illuminare il modo della sua azione. Ex-sistere vuol dire infatti che il desiderio dell’analista si trova non soltanto svincolato dalla logica fantasmatica da cui si origina, ma che è anche animato da una cifra sostanzialmente irriducibile ad essa. Un’irriducibilità che quando è messa al servizio dell’operazione analitica non può che disturbare, portare scompiglio in un fantasma – quello dell’analizzante – che per quanto vacillante possa rivelarsi, oltre che offrire un sostegno al desiderio organizza anche la difesa del soggetto di fronte al reale. Le due operazioni, sostegno del desiderio e difesa dal reale, vanno di pari passo nell’inconscio, e dal momento che disturbare l’una vuol dire anche disturbare l’altra, allora il desiderio dell’analista può essere considerato come la funzione che imprime alla clinica un preciso orientamento, così delineato da J.-A, Miller: « concentrarsi sullo smontare la difesa e sullo scombussolare la difesa contro il reale » [3].
Rilevato tale aspetto, quel che tuttavia non può essere dimenticato o sorvolato è che proprio in ragione della sua azione di disturbo, di smontaggio, di scombussolamento, il desiderio dell’analista, l’esercizio della sua funzione, richiede un’attenta valutazione delle modulazioni che risultano opportune per ogni singolo caso. Fino a considerare che ci sono casi dove si tratta di mettere tra parentesi o sospendere la sua azione disturbante e di lavorare invece per sostenere delle difese già fin troppo disturbate. D’altronde, se come sottolinea P.-G. Guéguen, lo smontaggio della difesa suppone al contempo che una nuova costruzione venga al posto di ciò che è stato tolto, smontato, ed è quanto Lacan chiama sinthomo[4], ebbene non si può considerare che in alcuni casi sia proprio quest’azione di montaggio, di costruzione, ugualmente ascrivibile al desiderio dell’analista, a imporsi come priorità?
Funzione duttile la sua, sempre da affinare, il desiderio dell’analista non è che un « operatore variabile » [5], ogni volta da calibrare, che trova nel controllo l’occasione privilegiata per la sua verifica.
[1] Cfr. J.-A. Miller, « L’ex-sistence », in La cause freudiennen. 50, 2002.
[2] Cfr. J. Lacan, Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola, in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 250.
[3] Miller, « Un reale per il XXI secolo », in Scilicet. Un reale per il XXI secolo, Alpes, Roma 2014, p. XXIV.
[4] P.-G. Guéguen, « Difesa (smontare la) », in Scilicet. Un reale per il XXI secolo, op. cit., p. 46.
[5] P. Naveau, « Desiderio dell’analista », in Scilicet. Un reale per il XXI secolo, op. cit
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