Care colleghe, cari colleghi,
Invio il mio intervento di apertura al Convegno Autismo. Dalla Parte del soggetto – In ricordo di Martin Egge che si é svolto a Venezia lo scorso 12 ottobre.
Cordiali saluti
Con Martin e la gioia del suo lavoro
di Chiara Mangiarotti
Autismo, una sindrome la cui definizione iniziale, di Kanner, ha perduto lentamente i suoi contorni, generalizzandosi ai disturbi dello spettro autistico e aumentando in modo esponenziale la sua prevalenza, che colpisce 1 ragazzo su 58 secondo le statistiche americane. Le cause dell’autismo sono a tutt’oggi sconosciute, come ammettono anche le linee guida dell’Istituto Superiore della Sanità, presentate a Roma il 26 gennaio scorso, e che tuttavia propongono il metodo ABA come unico metodo di trattamento scientificamente fondato di questo handicap, e lo raccomandano a tutte le istituzioni socio-sanitare e scolastiche.
Una battaglia è in corso, qui come in Francia, dove una posizione che si vuole scientifica ha stretto un’alleanza con le tecniche di condizionamento comportamentali e invalida ogni approccio relazionale ispirato alla psicoanalisi. La posta in gioco per noi, orientati dalla psicoanalisi di Freud e di Lacan, non è un individuo da addestrare ma il soggetto che si cela al di là del muro in cui è rinchiuso o al di là dei suoi comportamenti bizzarri. Per questo ci battiamo contro il modello unico delle tecniche cognitivo-comportamentali imposto nelle scuole e per la libertà di scelta dei genitori tra una pluralità di orientamenti.
Dalla parte del soggetto. E’ qui che ci vogliamo collocare come operatori che lavorano con bambini e adolescenti autistici. Il soggetto non è l’individuo. All’inizio il bebè guarda il mondo esterno. Jacques Lacan ci dice che il bebé guarda il mondo esterno e ne è eccitato. C’è un momento decisivo, aurorale per il soggetto: il momento in cui il bambino comincia a parlare. A partire da quel momento e non prima, inizia il processo di rimozione e possiamo parlare di soggetto dell’inconscio.
Il bambino autistico rifiuta la cesura apportata dal linguaggio, rifiuta lo sbarramento che il linguaggio potrebbe operare sullo stato di eccitazione in cui si trova e da cui rimane pervaso. Come scrive François Ansermet, trovando conferma in alcune ipotesi delle neuroscienze, il bambino è sommerso da un eccesso di sensazioni che non può controllare. Con delle conseguenze molto precise e catastrofiche: dal reale esterno che lo invade, che é per lui non solo l’ambiente esterno, ma il suo Nebenmensch, il suo Altro più prossimo, innanzitutto la madre, il bambino autistico si difende, lo nega, lo ignora. Come fare, allora, a scavare una piccola breccia nella barriera che l’autistico innalza davanti a noi, per porci “dalla parte del soggetto”? Nonostante il suo rifiuto della parola, l’autistico è nel linguaggio, come dimostrano gli scritti di autistici che non parlano, come Birger Sellin. Parlare di rifiuto dell’autistico significa parlare di una scelta, una scelta paradossale, anteriore a quella che abbiamo chiamato la nascita del soggetto che parla. Un paradosso che mutuiamo da Freud quando parla di scelta della nevrosi, a cui fa eco Lacan che definisce questa scelta “l’insondabile decisione dell’essere”. Un paradosso che è fondamentale nel nostro lavoro con i bambini autistici, attraverso il quale noi supponiamo, anticipiamo il soggetto.
In ricordo di Martin Egge, ci troviamo qui riuniti, a un anno dalla sua morte. Martin era animato da un desiderio particolare, che l’ha condotto a dedicarsi “a tutti i bambini che si intendono da soli e a tutti coloro che desiderano intenderli”[1] e che si é concretizzato nella creazione, nell’ambito delle Opere riunite Buon Pastore, dell’Antenna 112, una struttura di accoglienza per bambini affetti da autismo e da psicosi, di cui ricorre oggi il quindicesimo compleanno, a cui in seguito se ne é aggiunta una seconda, l’Antennina. Il modello ispiratore dell’Antenna 112, è l’Antenne 110 di Bruxelles, fondata da Antonio Di Ciaccia, e basata su un’applicazione della psicoanalisi fuori dal suo setting tradizionale chiamata “pratique à plusieurs”, pratica in diversi. Scrive Martin in La cura del bambino autistico:
Farsi partner del bambino autistico significa saperci fare con il proprio stile, con il proprio senso dell’umorismo, con i propri interessi, con il proprio corpo, mettersi in gioco e assumersi la propria responsabilità in prima persona, lavorare in prima persona considerando però che ognuno non è senza l’altro. Questo vuol dire anche sapersi destituire dal posto di unico partner del bambino autistico facendo entrare anche altri come partner, come ‘terzo’, in un gioco di scambio che mette in moto una catena, che mette il bambino in movimento tra desiderio e desiderio, in una rete creata dai significanti che rappresentano il desiderio dei suoi partner.[2]
Creare questa atmosfera desiderante intorno al bambino, contagiarlo con il desiderio di ognuno è la vera chiave di volta su cui si basa il nostro lavoro. Per dire come Martin fosse maestro in questo, voglio leggere alcune righe della testimonianza di una mamma, Giancarla:
Dopo aver visto specialisti bravissimi a “pontificare” da dietro una scrivania, ma incapaci di relazionarsi e mettersi in gioco con nostro figlio, per noi sono indimenticabili le scene in cui Martin si lascia toccare, abbracciare, osservare in modo ravvicinato da punti di vista diversi come solo i ragazzi autistici sanno fare; e poi vedere Emiliano che con movimenti anche bruschi martella la testa di Martin come se fosse un’anguria e questi si lascia coinvolgere, sta al gioco e si rivolge a Emiliano con parole semplici e “calde” cercando di dare un senso a tutto questo …. e dignità a chi lo fa. Non si trattava di una visita, ma di un “incontro”, o forse era una visita che Martin sapeva trasformare in un incontro “governato” dalla fiducia[3].
Martin ha lasciato molte tracce che ci mettono al lavoro. Una di queste è il corso sulle tematiche dell’autismo che per quattro anni abbiamo tenuto insieme a lui, rivolto alle insegnanti e agli operatori scolastici. Con alcune di loro abbiamo riunito questa esperienza in un libro, Il mondo visto attraverso una fessura. A scuola con i bambini autistici. In questo piccolo volume sono raccolte anche diverse testimonianze di genitori, nostri principali alleati nel lavoro con il bambino, tra cui quella prima citata, sull’incontro loro e dei loro figli con Martin.
Il mio desiderio di testimoniare del suo lavoro e di farlo vivere ha preso la forma del Centro Martin Egge per la cura dei bambini e degli adolescenti autistici o con sofferenze psichiche, un luogo che ho voluto creare con l’aiuto di alcuni colleghi psicoterapeuti con una lunga esperienza all’Antenna 112, dedicato ai bambini a partire dai due anni e adolescenti autistici, ma non solo, che possono essere supportati da un trattamento ambulatoriale. Ve ne voglio dare una illustrazione con una breve sequenza.
Marcos, un bambino che ho cominciato a vedere dall’età di due anni e mezzo, per molto tempo non ha fatto altro che produrre dei battiti, accendendo e spegnendo le luci, aprendo e chiudendo i rubinetti, tirando su e giù la carrucola di una piccola gru. Io mi sono associata ai suoi battiti cercando di introdurre delle variazioni ritmiche.
Un giorno Marcos mette dei pezzi di Lego nel cestino della gru e dice: “mela, banana, pancia”. Gli dico: “Che bello, facciamo l’insalata di frutta” e lui ripete: “Sì, sì, insalata di frutta!” Poi aggiunge altri pezzetti di lego pronunciando nomi di frutti. Gli propongo di scrivere insieme la ricetta dell’insalata di frutta per la mamma in modo che gliela possa preparare a casa. Marcos mi detta i nomi dei frutti, io aggiungo un disegno, alla fine della seduta mostriamo il foglio alla mamma esterrefatta!
I Lego non sono più dei mattoncini di plastica. Marcos ha compiuto un’operazione di sostituzione metaforica: il nome di un frutto al posto del mattoncino di plastica. E ha compiuto poi una seconda operazione creando un legame associativo tra i nomi dei frutti e la sua pancia. Dall’alternanza significante – aperto/chiuso, acceso/spento, su/giù – è passato alla sostituzione significante: il significante frutto al posto del significante mattoncino Lego, un’operazione che è al cuore del gioco simbolico. Tra la prima operazione e la seconda non c’è soluzione di continuità, la seconda succede all’improvviso. Una vera sorpresa che accogliamo con gioia.
Con Martin e la gioia del suo lavoro. Una volta Jacques Lacan, in chiusura a un convegno sulle psicosi infantili, pose al suo auditorio la domanda: “Che gioia troviamo nel nostro lavoro?”
Con le parole di Martin, la gioia di “stare un passo avanti al bambino autistico”, di farsi sorprendere dalle sue trovate, di essere sempre pronti ad accogliere l’emergere del soggetto.
[1] M. Egge, La cura del bambino autistico, Astrolabio, Roma 2006, p. 6.
[2] Ibid., p. 121.
[3] La testimonianza si trova in Chiara Mangiarotti (a cura di), Il mondo visto attraverso una fessura. A scuola con i bambini autistici, Quodlibet, Macerata 2012, p. 120.
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