Delle piccole differenze
Rosa Elena Manzetti
Che cosa permette che un bambino, che fino a oggi ha vissuto in una condizione privilegiata all’interno della famiglia in cui aveva la mamma a prendersi cura di lui, possa accogliere, senza troppo terrorizzarsi e senza perdersi, una nuova condizione come quella di andare all’asilo in cui viene a trovarsi in mezzo a molti altri simili a lui e con i quali deve condividere le attenzioni degli adulti?
Sicuramente la virtù pacificatrice dell’identificazione. I piccoli che si inseriscono in questa nuova condizione, vale a dire che riescono ad accogliere questa rinuncia all’unicità, sono quelli che non si sono soltanto identificati a un’immagine e conformati ad essa, ma che si sono identificati a un significante, sufficientemente ancorato all’Altro, che dà consistenza all’immagine e permette loro di sostenersi senza perdersi nella folla dei simili. Se l’identificazione è soltanto con un’immagine, senza il sostegno dell’identificazione significante, l’esperienza del passaggio da una posizione in cui si è l’unico a quella in mezzo a una folla di simili, può essere catastrofica. Infatti in quel caso il bambino perde i suoi segni di riferimento, la sua immagine vacilla producendo angoscia, e questo ha come conseguenza l’isolamento dall’insieme degli altri bambini.
L’identificazione nella sua molteplicità è il principio stesso del legame sociale: si sta in un gruppo perché ci si può contare e perché si condivide con gli altri del gruppo dei significanti che costituiscono l’ideale. Questo fa sì che il significante che ci rappresenta abbia connessione con i significanti che rappresentano gli altri.
Il soggetto si ritrova sotto il significante che lo rappresenta ed è barrato perché così rappresentato dal significante padrone deve rinunciare a ciò che lo particolarizza, altrimenti non potrebbe stare nel gruppo. Tuttavia dopo essere entrato nel gruppo, sulla rinuncia alla sua particolarità non è detta l’ultima parola, poiché può farsi sentire per il tramite del sintomo. Pensiamo a coloro che quando si trovano in un gruppo raccontano senza sosta barzellette, mettendosi in tal modo al centro della scena e facendosi strumenti del riso dell’Altro, per recuperare un posto singolare e non finire nell’anonimato.
Nel suo seminario sull’identificazione Lacan mette in rilievo che occorre distinguere il tratto unificante e il tratto distintivo, entrambi inclusi nel significante-padrone, S1, indicato così da Lacan per segnalare che è il primo di una serie ma che è anche il significante dell’unità.
Su questo principio si fonda il narcisismo delle piccole differenze di cui parla Freud, che si oppone ai sentimenti che agevolano la tenuta di un gruppo. Freud riferisce questo narcisismo delle piccole differenze soprattutto all’aspetto immaginario, per esempio alla rivalità con il simile, pur domandandosi perché siano proprio i tratti differenziali ad essere oggetto di grande sensibilità.
Lacan riferirà piuttosto il narcisismo delle piccole differenze alla struttura del significante: la piccola differenza non è altro che la differenza assoluta, senza alcun paragone possibile. Ciascun significante si definisce per essere ciò che gli altri non sono. Questa piccola differenza, questo tratto unario, è qualcosa che particolarizza e non soltanto qualcosa che unisce, che fa legame.
Queste piccole differenze sono puramente significanti. Si vede bene dal fatto che quanto più si cerca di globalizzare una lingua, tanto più riprendono forza i dialetti che le persone tornano a parlare facendoli diventare un segno di differenza, un modo di sentirsi presso di sé, di potersi situare nella lingua globalizzata. Non si tratta di faccende di comunicazione, ma di un mezzo di godimento.
Nel 1967 Lacan raccorda questo narcisismo delle piccola differenza, che Freud a partire dalla sua esperienza riteneva un elemento irriducibile, all’oggetto a.
Questo raccordo operato da Lacan ci permette di cogliere come l’oggetto a di Lacan nel suo versante reale, sia il resto dell’operazione di identificazione che si svolge nel campo significante. Si tratta di un resto dell’operazione che divide il soggetto quando si aliena all’Altro e che permane imprendibile dal significante.
Questo resto dell’operazione di identificazione, la parte più extima di ciascun parlessere, la sua essenziale unicità, è la vera posta in gioco del legame sociale che le identificazioni significanti fanno subire al soggetto.
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