Dal gradino di Freud al taglio di Lacan:
la scrittura dell’identificazione impossibile
Luisella Brusa
Un gradino
Le identificazioni molteplici sono già un tema delle prime ricerche freudiane e sono oggi sempre più d’attualità.
Per esempio, Freud spiega i fenomeni di personalità multipla come disturbi dell’identificazione: le identificazioni multiple che costituiscono l’Io si succedono le une alle altre senza un punto di arresto. Nella geometria dell’apparato psichico questo è il risultato di un Io non radicato in un solido Ideale dell’Io.
Freud articola l’essenziale della sua teoria dell’identificazione nel capitolo 6 di Psicologia delle masse e analisi dell’Io(1921) e in L’io e l’Es (1923). La sua tesi è una base della teoria psicoanalitica: l’identificazione è la prima espressione di un legame emotivo con un’altra persona. Prima della forma possessiva del legame (possedere l’oggetto) c’è il legame “essere” l’oggetto. È l’identificazione primaria, alla quale si aggiunge più tardi una stratificazione di differenti identificazioni con oggetti (persone) importanti, fino al tramonto del complesso edipico, quando un’istanza psichica interna raccoglie l’eredità di queste identificazioni in una forma “desessualizzata e sublimata”. Questa istanza è l’Ideale dell’Io. Un ideale del tutto particolare che contiene al suo cuore l’interdizione al suo compimento, come è specificato dalle celebri formule di Freud: “Come il padre devi essere” – “Come il padre non ti è concesso essere”.
Il superamento di questa doppia ingiunzione conduce ad un ideale strano, un ideale perforato, un ideale che include la sua interdizione, in cui consta il vero superamento del complesso edipico. L’ideale dell’Io fissa l’Io in una distanza da se stesso che non potrà più essere riassorbita, una distanza che impedisce all’Io di fare uno con se stesso. Secondo le parole di Freud l’Ideale dell’Io è un “gradino all’interno dell’Io”, scava una faglia nell’identità che, ecco il paradosso, la rende solida. È un marchio della dissoluzione del complesso edipico che svuota del suo senso e del suo oggetto la passione identificatoria (« desessualizza e sublima »).
Un taglio
Quella “follia per cui l’uomo si crede un uomo” – e possiamo aggiungere, una donna si crede una donna, una lesbica una lesbica, un multiplo[1] un multiplo e così via – per Freud e per Lacan è determinata dalle identificazioni secondo il modello primario.[2]
La follia identificatoria è effetto della spinta del godimento pulsionale che preme per il “tutto”. Nel miraggio dell’identità balugina la meta finale dell’oggetto totale che il soggetto sarebbe per se stesso, quello che estinguerebbe la mancanza. Che sia rigettata, smentita o rimossa, la verità del godimento è sempre che questo oggetto è un fallimento. Qualunque strategia il soggetto metta in campo per inseguire l’identità con se stesso, la spinta pulsionale all’uno-tutto non si soddisfa, perché la fonte del problema è che il godimento è unico, attraversato dal linguaggio, che ne fa mancare sempre un po’ e causa la spinta a un’altra soddisfazione.
Su questo punto di confine in cui il miraggio dell’oggetto totale sfuma nella sua assenza sta fermo l’analista. Non sta a sindacare sul modo e sull’oggetto del godimento che ascolta, ma sconferma con la sua sola presenza abissale il miraggio dell’unione, che annullerebbe l’origine di tutte le differenze.
Lacan riprende l’elemento sovversivo sepolto nella formulazione di Freud. Va fino in fondo e arriva a dare consistenza di scrittura alla mancanza di coincidenza dell’uomo con se stesso, che ferma la passione identificatoria.
Riconosce nel “tratto unario” dell’identificazione freudiana il punto di capitone in cui il significante va oltre se stesso e precipita nella scrittura di una beanza. Sta all’analisi creare questa scrittura come la soluzione dell’identificazione impossibile, con il giusto taglio che la fa coincidere con la causalità psichica in quanto tale.
Nella topologia lacaniana – molto più adeguata per evocare il contesto in cui viviamo – al posto del gradino c’è un vuoto circoscritto da un taglio. Un taglio che come il “taglio” di una tela di Fontana la fa non-tutta.
[1] È il nome autoattribuitosi e in questua di riconoscimento delle persone che si riconoscono nella diagnosi di personalità multipla, membri (Multiple Attending Members) dell’omonima Society for the Study of Multiple Personality and Dissociation. Sullo stesso principio nominativo sono organizzate le altre categorie alle quali faccio riferimento en passant.
[2] J.Lacan, Discorso sulla causalità psichica, Scritti, vol. I, p.181.