Martin Egge, In Memoriam
Le cose superiori non sono mai in vista:
La perla, la giustizia, il pensiero
Emily Dickinson
Si può, dice Lacan, esalare un grido cercando di negare che l’amicizia possa cessare di esistere.
Ciò nonostante, lui, Lacan, rinunciò a pronunciare il cordoglio per la morte del suo grande amico Merleau Ponty.
Troppo bene sapeva, Lacan, che il reale era indicibile.
E che ciò che ci rimane essendo in Vita,
Quando perdiamo un amico.
Trascende l’accadimento.
Il momento triste nel quale valutiamo quanto poco abbiamo goduto di questa presenza preziosa quando era così vicina…
E non potevamo immaginarla datata.
Non ci rimane che rallegrarci di averlo conosciuto. E rendergli omaggio. Perché ora sappiamo che abbiamo potuto essere un poco migliori, perché
lo abbiamo ascoltato.
Martin Egge, il discreto.
Aveva molto da dire.
Ma abitualmente preferiva tacere.
Troppo bene sapeva con quanta leggerezza si spargono le parole.
E la serietà che le parole raggiungono nell’esperienza soggettiva dell’autista e dello psicotico.
Martin Egge aveva deciso di accompagnare loro, i bambini più soli, nel cammino così difficile che li avrebbe portati poco a poco a partecipare al
banchetto degli altri.
Aveva molta pazienza, Martin Egge.
Sapeva rispettare il tempo di ciascuno per provare, per cercare, per scegliere.
Il fatto è che Martin Egge, per formarsi nella scuola dell’esperienza analitica aveva percorso la scuola più dura di coloro che non credono al sembiante, perché
non aspettano nulla dalla parola. Per questo motivo era sempre disposto a sorprendersi, ad afferrare l’occasione dell’accadere di un senso nuovo, a non
lasciarsi sfuggire l’opportunità dell’incontro nel discorso, benché fosse solo un lampo.
Così, quando questo miracolo dell’incontro accadeva, lui rideva allegro. E la sua risata era contagiosa.
Perché Martin Egge era lacaniano.
Lo ricordo emozionata per l’impeccabile logica che avevamo scoperto nel suo bel racconto del passaggio di una giovinetta all’Antenna 112[1].
Nell’ alethosfera privilegiata dell’istituzione, lei aveva sperimentato la mutazione dell’oggetto autistico, reale, fino a provare la gioia della socializzazione,
una volta trasformato, l’oggetto, in simbolico.
Il libro di martin Egge, Il trattamento del bambino autistico, testimonia un lento lavoro di studio, di formalizzazione e ordinamento della clinica
psicoanalitica. È un piacere leggerlo perché, ad ogni passo, troviamo l’impronta del suo stile singolare. Il lavoro analitico esige dall’analista una grande
dose di abilità, pazienza, serenità e abnegazione, diceva Freud.
Martin Egge era freudiano.
In questi giorni convulsi, dovuti a una nuova campagna di calunnie e discredito del trattamento analitico dell’autismo, leggendo il libro di Martin, abbiamo la
fortuna di reincontrare la giustezza del suo orientamento, la potenza del suo pensiero, le perle della sua clinica.
Vilma Coccoz, Febbraio 2012.
Continuiamo con la trascrizione del testo elaborato a partire dall’intervento di Vilma Cocoz alla presentazione del libro El tratamiento del niño autista reali
zzata il 21 maggio 2009 alla Biblioteca del Campo Freudiano di Bilbao, con Julio Gonzalez e Beatriz Tomei come coordinatrice.
Questo libro è una lettera aperta
Come prima cosa, vorrei celebrare l’uscita di questo libro come un oggetto prezioso. E’ un’edizione molto curata in un formato che permette di leggerlo
comodamente, è fatto con un tipo di carta facile da sottolineare sul testo ed è composto in un modo tale da permettere di fare note a margine.
Questa materialità facilita la sua funzione di libro-messaggio. Adempiendo così anche al proposito di rispondere ad altri testi della Scuola,
concepiti come “lettere aperte”.
Lacan ha manifestato il desiderio che questo fosse il destino dei suoi Scritti, durante il Seminario XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante. Voleva
che diventassero delle lettere aperte. Ciò suppone che ogni lettore debba apportare, leggendoli, qualcosa di suo per comprenderli e riuscire così ad
appropriarsi del messaggio cifrato che enigmaticamente racchiude. Martin Egge dimostra fina a che punto si è fatto destinatario delle lettere lacaniane.
La prima parte del suo libro costituisce una vera mappa per non smarrirsi nella ricerca dei diversi apporti dell’insegnamento di Lacan rispetto alla clinica
psicoanalitica delle psicosi infantili e dell’autismo.
Con un rigore eccellente Egge riunisce sia l’essenziale degli apporti fondamentali di altri autori a questa problematica, fino a sfociare, nella seconda parte
del libro, nello studio della geniale invenzione di Antonio Di Ciaccia: “la pratica in diversi”, secondo il nome con cui l’ha battezzata Jacques-Alain Miller.
E’ la prima volta che si realizza un ordinamento dottrinale di quasi quaranta anni di esperienza in istituzioni che funzionano secondo quest’originale metodo
inspirato al sapere della psicoanalisi. Egge ci spiega accuratamente per quale ragione si tratta di una pratica che si accorda con i tre principi lacaniani:
1) la tattica: in questa pratica ognuno interviene con la maggiore libertà in ogni momento.
2) la strategia: comporta una direzione e si decide collettivamente.
3) la politica: risponde al principio etico di creare il soggetto.
Questo si realizza a partire dalla constatazione di due fatti clinici: in primo luogo, l’autistico è nel linguaggio. Secondo, lui l’Altro non funziona, per
questo motivo non abita nel discorso. I suoi enunciati, talvolta solo parole spezzate, e la reazione di tapparsi le orecchie rivelano che il dibattito relativo
al linguaggio pre-verbale e verbale non è, in questo caso, improprio, secondo le parole di Lacan “poiche è dalla parola che (il bambino) si protegge”.[1]
In questo modo giungiamo al cuore della prospettiva della psicoanalisi a orientamento lacaniano sull’autismo: è il risultato di una dottrina sulla soggettività
e si adegua ai principi dell’etica psicoanalitica, secondo la quale il linguaggio non è solamente una via di comunicazione o d’informazione ma, fondamentalmente,
la dimensione in cui si costituisce l’essere. Lacan si riferisce al parlessere (parlêtre), scritto in una sola parola per indicare questo fatto proprio dell’essere
umano.
La conquista dell’esistenza, lontano dall’essere un prodotto dell’evoluzione, è un percorso arduo che inizia con la costituzione di ciò che Freud ha chiamato
“complesso dell’essere umano prossimo” (Nebenmensch) e che Lacan ha riformulato come lo “stadio dello specchio”. In esso affondano le radici dei sentimenti morali
derivati dalla nostra dipendenza dagli esseri che ci sono più prossimi, dal modo in cui loro ci hanno protetto dai pericoli esterni e, essenzialmente, dal
modo in cui hanno temperato l’influenza inevitabile di ciò che Freud chiama “pericolo interno”. Ossia, la tendenza incomprensibile alla distruzione che include
la vita stessa del parlessere e di fronte alla quale si sperimenta il sentimento di abbandono Lacan chiama questa tendenza “godimento” per distinguerla dal piacere.
Con questo termine si riesce a concettualizzare una soddisfazione paradossale che comporta il fatto di abitare il linguaggio e, dunque, di dover far fronte
alla pulsione di morte. Ciascuno dei fatti cruciali, che accadono nel complesso percorso vitale della costituzione soggettiva, può essere situato come “ritardo” o
come “sviluppo della soggettivazione”. [2] Ciò accade perché i fatti acquisiscono un certo significato nella storia individuale secondo la particolarità affetti
vità in cui sono vissuti. Per esempio, la nascita di un fratello può comportare significati molto diversi, considerarlo come un erede di cui prendersi cura
oppure come un usurpatore da combattere.
Questi significati riguardano l’atmosfera particolare che c’è attorno al bambino e che Lacan ha chiamato alethosfera, facendo allusione alla verità (aletheia) e
ai diversi sensi che pullulano nell’ambiente che circonda il bambino e che sono tanto vitali quanto l’aria per la sua esistenza. Ai detti, racchiusi nel
discorso dell’Altro, si aggiunge la particolare risposta del bambino rispetto a ciò che accade, rispetto a ciò che si dice di lui e a ciò che gli è o non gli è detto.
Per continuare con la metafora degli elementi, nella famosa Conferenza sul sintomo, Lacan parla del mare del linguaggio, delle sue acque. Forse, a causa del suo
carattere informe, illimitato. In questo mare facciamo quello che possiamo, afferriamo qualche pezzetto di legno, alcune parole con cui facciamo qualcosa,
costruiamo una barca che ci permetterà di galleggiare e di non soccombere nel percorso della strutturazione della nostra soggettività come esseri desideranti.
L’Antenna 112
Queste considerazioni sulle difficoltà che affronta l’essere parlante dal suo arrivo nell’incessante chiacchiericcio del mondo, rendono possibile cogliere che
la “pratica in diversi” costituisce una vera “realizzazione della struttura”,[3] secondo i termini usati da Lacan nella Fondazione della sua Scuola.
Perché questo metodo originale è orientato a favorire un inserimento simbolico, una struttura in cui ritrovare i piccoli pezzi di legno – o una loro adeguata
manipolazione – per riuscire così a fabbricare un salvagente per quei soggetti che sono a massimo rischio, sottomessi a un’angoscia non immaginabile.
Perché, come spiega Martin Egge, “i bambini che abbiamo in cura hanno trovato lungo questo percorso un inciampo, un ostacolo insuperabile”.[4] Essi meritano un
respiro che nessun protocollo è in grado di offrire loro perché i protocolli si riferiscono a un soggetto astratto e, perciò, morto.
Continuando con la metafora marittima, aggiungiamo ora qualcosa per avvicinarci alla strategia necessaria per passare alla realtà del sapere sulla struttura
soggettiva scoperto dalla psicoanalisi: in questo caso si tratta della sua concretizzazione, della sua real-izzazione nella modalità dell’istituzione dell’Antenna
112.
Questo libro è una carta nautica
Considerando che stiamo presentando questo libro a Bilbao, nella Costa del Cantabrico, la terra da dove è partito il Grande Sebastian Elcano, non è molto
difficile pensare detta strategia istituzionale come una singolare navigazione. Vediamo quanto sia feconda questa somiglianza con la così denominata
“navigazione stimata”, quella che è sorta come alternativa alla navigazione costiera. Quest’ultima prende in considerazione elementi della costa come fari, boe,
ecc. Invece, la “navigazione stimata” giacché non può orientarsi considerando la costa, dipende da mezzi analitici, e serve solo per ridotte superfici del pianeta.
Il navigante affronta quattro problemi: individuare la traiettoria, il tempo, la velocità e la distanza. Inoltre bisogna tenere conto, ci dicono gli esperti,
dei “fattori interni”, che hanno influito durante tutto o una parte della rotta (per esempio il vento), e, certamente, le correnti.
La convergenza della presa in considerazione di questi fattori si definisce come “situazione di stima”, e da essa si deduce “un punto di fantasia”,
al quale si pretende di arrivare alla fine del percorso.
Come concepire la “situazione stimata” all’Antenna 112? Secondo la nostra lettura, questo è l’interrogativo che si pone per poter discernere “che cosa esige il
bambino autistico o psicotico?” Per rispondere a questa domanda Egge cita Donna Williams, l’autistica che ha enunciato chiaramente il suo scopo: “cerco una
guida che mi segua”.[5] Seguendo la formalizzazione di Di Ciaccia, egli propone le condizioni di navigazione dell’Antenna 112 nelle acque del linguaggio:
sono quattro punti essenziali all’applicazione di questo particolare metodo analitico che funziona “a rovescio” di quello ortodosso.
Primo, la disgiunzione tra il luogo e il posto, quest’ultimo sempre a rischio di essere occupato, nell’esperienza soggettiva dell’autistico, da un intruso
persecutorio e minacciante a causa della mancanza di simbolizzazione.
Secondo: L’Altro della parola, l’Altro che riconosce il soggetto ha un ruolo preminente, ma deve essere accuratamente svuotato dal godimento mortifero.
Terzo: l’Altro regolato. Il bricolage che risulta dal punto due deve essere in continuità nello spazio e nel tempo per impedire l’irruzione degli eccessi di godimento.
Quarto: per il funzionamento dell’istituzione bisogna che gli operatori, uno per uno, diventino partners del bambino.
In questo capitolo Martin Egge illustra la maniera in cui si “naviga” all’Antenna per permettere che ogni bambino, considerato nella sua singolarità, con il suo
nome proprio, incontri i suoi pezzetti di legno, costruisca la sua barca, quella che porta il suo nome. Lacan in Sovversione del soggetto parlava della
comparsa del soggetto nel “mare dei nomi propri”.
In questa parte del libro troviamo una galleria di ritratti di piccole persone a partire dalle loro trovate, delle loro invenzioni, quelle che hanno permesso loro
di esistere, respirare, vivere. Così sono concepiti i sintomi, come manovre di autodifesa e di auto-costruzione. I sintomi sono salvagenti. Questa concezione
trova la verifica clinica nelle stereotipie e ecolalie. Giacchè queste aumentano nei periodi di agitazione e tendono a scomparire in una situazione di pacifica
zione e tranquillità.
Dicevamo che la politica di questo dispositivo si orienta sull’etica analitica, ovvero, per produzione del soggetto. Quale sarebbe l’equivalente al “punto di
fantasia” della navigazione stimata? Dove si trova il porto cui si cerca di arrivare? Non esiste il porto standard, uguale per tutti: “Nella psicosi, –
afferma Egge – in assenza del discorso stabilito, il soggetto deve affrontare il trauma del linguaggio con una costruzione di senso propria”[6].
Martin Egge descrive cinque tempi della logica di questa costruzione soggettiva:
[7] 1. Dall’alternanza alla verifica dell’Altro in quanto “regolato”; 2. Le prime costruzioni; 3. La metonimia nelle costruzioni; 4. Le classificazioni; 5. L’insegnamento.
E’ fondamentale tenere conto che il porto di arrivo non si conosce in anticipo, va prendendo forma con il ritmo di ogni bambino: “La sfida dell’Antenna 112
è di accompagnare il soggetto nella costruzione fino a dove la sua struttura gli permette di arrivare”.[8]
Dato che si tratta di un percorso che si realizza nella vita, – in acque talvolta tranquille, altre volte con correnti avverse, talvolta abbiamo il vento a
favore e altre volte contro – a ogni momento possono sorgere sorprese, trovate, ma anche, non ce lo nascondiamo, delle difficoltà. In questi casi si cercano manovre
di salvataggio per evitare che possa sorgere nel bambino il sentimento di essere lasciato cadere, o di essere goduto, annegando la sua soggettività.
Questo richiede una delicata manovra che si trasforma in una “cura antinarcisistica” per gli operatori; i quali, in questa logica, non rispondono né a gerarchie
, né a titoli, ma solo alla loro condizione di accompagnatori del particolare percorso soggettivo dei piccoli naviganti. L’entusiasmo e la freschezza che
emana da questa pratica, e che ogni lettore coglie, sono legati, come ha proposto Virginio Baio, alla gioia dell’atto etico.
La terza parte del libro è dedicata allo studio di quello che ci insegnano le testimonianze pubblicate da autistici adulti. Egge l’ha intitolata “Dalla parte
degli autistici”. I testi di Donna Williams, Temple Grandin, Birger Sellin sono vere lettere indirizzate al “buon intenditore al quale s’indirizza un saluto”.
A chi celebra, dalla polis freudiana, la conquista che ciascuno di loro è riuscito a realizzare della sua particolare Itaca nel mezzo delle agitate acque del Logos
, fino ad arrivare a tessere un legame con gli altri.
L’appassionante e necessaria lettura di questo libro incoraggia al “passaparola”. Facciamo eco al motto di Martin Egge con cui inizia queste pagine: Passalo, fai
passare questo messaggio, dillo “a tutti i bambini che si intendono da soli e a tutti coloro che desiderano intenderli”.
Traduzione di Silvia Cimarelli e Erminia Macola
[1], J., Lacan “Sul bambino psicotico”, La Psicoanalisi, n. 1, Astrolabio, Roma
1987, p. 18.
[2] cfr. J. Lacan,, Libro V. Le formazioni dell’Inconscio, Einaudi, Torino 2004.
[3] Cfr. J. Lacan, “Proposta del 9 ottobre 1967 (prima versione)”. La Psicoanalisi, n. 15, Astrolabio, Roma 1994.
[4] M. Egge,, La cura del bambino autistico. Astrolabio, Roma, 2006, p. 89.
[5] D. Williams, Il mio e loro autismo. Itinerario tra le ombre e i colori dell’ultima frontiera, Armando, Roma, 1998, p.287. in M. Egge, La cura del bambino autistico. Astrolabio, Roma, 2006, p. 119.
[6] In M. Egge,, La cura del bambino artistico,.op. cit., p. 136.
[7] Ibid., p. 137.
[8] Ibid., p. 136.
[1] In occasione del corso dell’Antenna del Campo freudiano di Pisa, coordinato da Virginio Baio, il 13 gennaio 2008.