Gisella Frontini COMMENTO AD “AUTISMO” DI SILVIA ELENA TENDLARZ DA “L’ORDINE SIMBOLICO NEL XXI SECOLO” ED. SCILICET 12/2011 Ho seguito in questi anni il dibattito sulla introduzione delle cure analitiche ai bambini autistici in Francia, Belgio e Italia da parte degli psicoanalisti della nostra scuola. Questa mia ricerca proviene da un profondo bisogno-desiderio di saper come dare una risposta o di “quali parole da dire a quei bambini “ parafrasando un noto titolo. “Immaginate ora un bambino” (parafrasando ancora parole molto più grandi di me) nel 1966, Marco a sei anni, che aveva smesso di parlare a quattro (il mio ricordo è indelebile ma non certo per le date), appena arrivato in Manicomio e una giovane psichiatra con il libro di Kanner in mano e basta. Asperger con la sua casistica non l’ho mai conosciuto. Ad essa veniva spiegato dai colleghi più dotti che questi bambini potevano anche cadere sotto la mannaia della demenza di Heller e se ne aspettava tristemente le fine. Questo mio profondo desiderio di sapere ma anche di fare mi ha portato a partecipare con passione alla vita politica del mio quartiere neo-insediato (1971) mentre si attuava la lotta antimanicomiale si esplorava il territorio nelle più varie manifestazioni perchè si pensava (sulla scia del ’68 del discorso Basagliano) che tutte le realtà andassero esplorate e tutte le vie battute. Devo purtroppo dire che agli sforzi anche generosi delle Amministrazioni Locali e soprattutto i Quartieri neocostituiti a Bologna 18 (sic) non corrispondeva da parte dei Tecnici un uguale entusiasmo ed aperture. Nei primi anni ’70 veniva chiuso ad Imola il non tanto apprezzato IMPP (Sante Zennaro) nonostante l’opera muraria di pregio appena terminata (Architetto Zacchiroli). Nel 1980 la Riforma Sanitaria non fu completata da una Riforma Sociale (o Socio- Assistenziale per l’esattezza) dividendo così sin dall’inizio quello che ora si vuole reintegrare. In quegli anni ’80-90 e ’90-95 fino ad ora da 0 a 18 anni i bambini autistici afferivano al Servizio Neuropsichiatrico Materno Infantile e la parola d’ordine era non psicoterapia ma solo un intervento educativo. Negli anni ’90-95 ho passato diversi anni in “collaborazioni specialistiche” inserita in una équipe socio-psicopedagogica per l’Handicap adulto, in cui c’era di tutto dai 18 anni in poi. Avevo già intrapreso la via analitica Lacaniana ma il cammino si presentava oscuro: “che dire a questi ragazzi? Sono profondamente convinta con la Tendlarz che viviamo in un mondo in cambiamento “pieno di imprevisti” come per le stagioni contingenze impreviste in cui gli ideali non esistono più, tutto questo porta a cambiare il legame con gli altri. Chiusura, difficoltà di comunicazione, spinte a godimenti solitari. Dal secolo XX al XXI, l’autismo che Bleuler annoverava tra le schizofrenie, ha continuato a crescere perchè meglio individuato a tutti i sistemi di diagnosi tra i quali primeggia il DSM3. La Tendlarz dice ancora, pienamente da condividere che a queste persone che non comunicano, viene richiesto di comunicare normalmente quando la norma non esiste più. La cosa più importante dice l’Autrice è che non si può cogliere l’Autismo, attraverso la somma dei suoi sintomi perchè non si tratta di una malattia ma di un “funzionamento soggettivo singolare”. Non ho potuto rintracciare Jean-Claude Maleval con descrizione della varietà dei casi compresi nella categoria diagnostica che vanno dai casi che richiedono una assistenza istituzionale fino ad autistici di alto livello con la segnalazione di bambini autistici che presentano “isole di competenza” anche con attitudini eccezionali. Ciò è documentato nella nostra scuola da produzioni importanti come il libro di Chiara Mangiarotti . Come funzionano gli autistici? Il loro modo di funzionamento è caratterizzato da un “ritorno del godimento sul bordo” secondo quanto riportato dall’Autrice a proposito di Eric Laurent. Proverò a spiegarlo con parole mie, se pure sulla traccia di Laurent. Lacan usa dal 1953 il modello topologico del toro per rappresentare il linguaggio. Questo modello disegna un interno che si trova anche all’esterno. Il bambino nasce immerso nel linguaggio e quando decide di entrarvi non lo domina e deve rinunciare a qualcosa. Il bambino deve fare una scelta per nascere come soggetto e subisce un trauma che è un buco all’interno del simbolico che non riesce a rappresentare il reale del corpo delle pulsioni. L’incontro con l’oggetto perduto o con il partner perduto non avverrà perchè c’è un buco al cui centro c’è un “non rapporto”. Lacan ha compiuto un percorso per arrivare a dire che tutti dal nevrotico, psicotico, autistico, perverso funzioniamo così. Il simbolico non modellizza più il reale ed il simbolico non sarebbe altro che un riflesso di un rapporto di esteriorità. Però questa perdita struttura il godimento umano. “Il ritorno del godimento sul bordo”, vorrebbe significare che un significante funziona soltanto nel reale, senza spostamento e agisce in modo tale da cercare un ordine fisso e un simbolico realizzato senza equivoci possibili. Il bambino che non risponde, non parla, non si emoziona non ha un deficit, ma permette al soggetto di vivere senza ostacoli. “La chiusura autistica è come una bolla di protezione chiusa di un soggetto senza corpo”. Allora come si sposta questo neo bordo nel corso di un trattamento? Quando un bambino autistico si presenta alla consultazione l’Altro viene visto come intrusivo di fronte ad un bordo chiuso quasi incollato alla superficie del suo corpo. Si cerca di attuare degli interscambi articolati con un altro mene minaccioso può avvenire uno spostamento di questa corazza. Si cerca di costruire o di articolare uno “spezio di gioco” che non sia né del soggetto né dell’altro che permetta un avvicinamento. Si tratta di un interscambio molto importante, nei quali interviene la “metonimia” degli oggetti che permettono la costruzione di uno spazio di spostamento del bordo e l ’emergere di significanti che entrano a fare parte della lingua privata del bambino. Dopo il trauma della perdita il bambino si deve reinventare un altro che non c’è più. Non si impara a vivere con un altro perduto, si deve inventare un linguaggio privato o partire dalla contingenza degli avvenimenti, dal linguaggio pubblico che si condivide con l’altro a cui va indirizzato. In alcuni casi viene incluso l’oggetto “autistico” con il quale egli si sposta ed entra nel circuito degli oggetti. Non occorre spogliare il bambino di questi oggetti, pur mirando l’orientamento psicoanalitico alla “separazione” questa non viene inscritta, per cui si passa ad un autismo a due. L’Analista diventa così il nuovo partner del soggetto ad di fuori di ogni reciprocità immaginaria e senza la funzione di interlocuzione simbolica. In psicoanalisi ci rivolgiamo sempre ad un soggetto, alla ricerca della sua uscita singolare.
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