FULVIO SORGE
Qualche riflessione sull’autismo
Il dibattito attuale riguardo ai trattamenti efficaci del bambino affetto
da autismo si presenta, da parte di chi sostiene l’esigenza di
protocolli psicopedagogici verificati secondo criteri oggettivi e
falsificabili degli esiti, come del tutto indifferente se non
francamente ostile al metodo psicoanalitico.
Legiferare su un
trattamento codificato e di universale applicazione al piccolo
sofferente, denegare, precludere scientemente ogni pratica che possa
cogliere, nella sua particolarità, i modi specifici della sofferenza
del soggetto, mette in atto quella versione attuale del discorso del
padrone, ibridato al discorso del capitale, che, oltre a essere proprio
della società dei consumi, rinnega e prescrive il proprio del discorso
della psicoanalisi.
Molteplici esperienze del campo psicoanalitico e
dell’insegnamento lacaniano,sostengono l’esigenza di un’etica della
clinica che ponga al centro della scena l’esigenza di accogliere la
soggettività in fieri dell’ infans, di una invenzione immaginaria atta
a introdurre una scansione simbolica del reale del sintomo, unica e
diversificata per ogni trattamento, di una paziente costruzione, a
partire, occorre dirlo, dagli atti e dai pochi detti del bambino
autistico, del campo delle possibili relazioni con l’Altro.
Colto nella
singolarità del suo esistere, dall’interno della fortezza vuota che ha
costruito a fronte degli effetti traumatici dell’incontro con la lingua,
costretto dall’insopportabilità di una scansione del tempo soggettivo
forgiato dal desiderio dell’Altro, cui si oppone con la ripetizione
monotona di gesti stereotipi, obbligato alla negazione di ogni
relazione intersoggettiva, il sofferente sollecita una clinica che
valorizzi il compito etico del curante nella conduzione della cura. Si
rende indispensabile allora un agire terapeutico atto a costruire ,a
fronte della particolarità di ogni soggetto in preda al godimento
della ripetizione, un tragitto, una lettera prima di un percorso che l’
infans possa tollerare, perché di sé qualcosa emerga dall’abbraccio
mortifero del reale. Si noti come, la necessità di un’invenzione
terapeutica che scandisca il tempo, che rispetti la particolarità del
transfert, che si costelli poi, progressivamente di pivot, segni capaci
di introdurre un prima scansione simbolica del reale, all’interno di
una clinica sotto transfert, sia del tutto in opposizione a una pratica
ope legis, standardizzata, uniformata da interventi che, sotto l’
insegna di un universale psicopedagogico, vogliano proporre un
trattamento pregiudizialmente verificabile di cui si sostiene l’
efficacia.
A fronte di questo nuovo, virulento, pervasivo attacco delle
neuroscienze, si moltiplicano sui mass media, anche democratici,
scritti di un’apparente ragionevolezza per l’uomo comune, che
criminalizzano la psicoanalisi,che trattano i suoi operatori alla
stregua di imbroglioni se non di stregoni; nell’era post moderna
sembrano definirsi come scientifiche e non opinabili tutte le pratiche
mediche evidence based . Sembra allora indispensabile ribadire quale
sia il posto e l’intento della psicoanalisi, la sua politica derivata
dall’insegnamento di Sigmund Freud e Jacques Lacan.
La psicoanalisi
come “ scienza dell’inconscio “ porta al riconoscimento di un’altra
scena, che però si cela in ognuno e decentra e irretisce la sovranità
cosciente; sostiene che, sul piano pratico, il gioco di forze, la
tensione irriducibile che anima ogni soggetto, preso tra esigenze
pulsionali e rappresentazioni sociali, il disagio dell’uomo civile, si
alimenta alla “ dissidenza nevrotica “ della sessualità; che, infine,
sul piano collettivo, proprio il cuore pulsionale dell’animale uomo
prende in contropiede gli ideali sociali e, nietzschianamente, ne
costituisce una impietosa diagnosi, suscitando, da sempre, violente
resistenze che si oppongono a questo smascheramento.
Freud, su tale
punto, è assolutamente chiaro: i rudimenti di una psicologia del
profondo, in ragione della esemplificazione che se ne può trarre dalla
presentazione del caso clinico, possono, per eccellenza costituire l’
antropologia medica di cui lo studente di medicina e il medico non
possono fare a meno. La psicoanalisi è indispensabile alla formazione
psichiatrica, esattamente nella misura in cui quest’ultima “ ha
carattere esclusivamente descrittivo “ e si riduce ad una
psicopatologia essenzialmente “ nosografica :“essa non può offrire “ la
benché
minima compressione dei fatti osservati “ L’ostilità che
suscita questo assunto programmatico, ha segnato il destino accademico
della disciplina, attualmente relegata in posizione marginale anche sul
piano delle terapeutiche dai modelli cognitivo-comportamentali,
certamente in ragione del suo voler essere riflessione sul soggetto
stesso, soggetto inconscio, per definizione preso in un “ insaputo “
che si tratta di elevare a un certo sapere. Sapere che, per il
funzionamento stesso che la psicoanalisi suppone al suo soggetto,
continuamente resiste e si sottrae alla sua conoscenza. Sapere poi che
esercita il suo magistero solo a patto che l‘ Altro lo si supponga,
vale a dire che ci si trovi nella dimensione inedita del transfert
Le
forme attuali della clinica non sono caratterizzate dall’intenzionalità
di dire e in ciò esprimono consonanza con l’ordine sociale
contemporaneo nella sua spinta al godimento separato da una sanzione
simbolica. Il sintomo non è, come nel passato, prelevato dal discorso
dell’Altro quanto omologato all’oggetto dell’Altro e sussunto come
icona identificatoria, insegna della soggettività. Si da come rimedio,
omologo alla droga o al farmaco, in quanto satura la divisione
soggettiva.
La pulsione deborda dalle zone erogene e, sul modello delle
nevrosi attuali, senza nessuna mediazione rappresentazionale, investe l’
intero soggetto, si soddisfa del suo intero corpo. Di fronte all’
impatto di questa complessità non è possibile che l’OMS, le istituzioni
universitarie, la politica mondiale della salute psichica, rispondano
con il desiderio di rendere omologabili i soggetti i sofferenza, di
produrre clusters sintomatici per rendere più riconoscibile,
quantificabile, equiparabile il disagio. Si cerca di allineare la
psicoanalisi ( questa la versione contemporanea del sorvegliare e
punire che si trasforma in sorvegliare e censire ) in un registro che
la contempli tra gli altri trattamenti psicoterapici appiattiti sullo
imperativo della verifica empirica, che lusinghi il desiderio freudiano
di essere riconosciuta come scienza solo a patto che essa ceda alla
richiesta del ridurre il suo più insindacabile principio motore della
cura, il transfert, alla dimensione di una variabile misurabile,
contalizzabile, replicabile nel registro dell’oggettività.
La
psicoanalisi può essere allora codificata e appresa da manuali, ridotta
a matematica semplice e dagli esiti prevedibili, insegnata senza
difficoltà, in una parola assimilata al registro del numero finito,
della successione lineare di eventi, della causalità diretta, della
coincidenza assoluta, statisticamente verificabile, del soggetto con i
suoi disturbi, secondo il modello che le neuroscienze e, tra esse, la
psichiatria a indirizzo biologico, hanno proposto proprio in ragione
della espunzione del soggetto nella sua particolarità in favore del
quantificabile, della struttura in favore della costellazione di un
sistema binario di segni su cui si costruisce la diagnosi, del lavoro
clinico e della sua logica i
n favore del farmaco e della sua potenza.
Se la psicoanalisi si intende come ciò che , nella sua pratica,
sostiene gli effetti della parola sul soggetto e sul suo corpo, il
campo della scienza non le è eccentrico né precluso, il suo lavoro
comincia in continuità come l’eccezione laica alla religione e
mistificazione del tutto dicibile, tutto calcolabile, monetizzabile del
commercio, del capitalismo fondato sul primato dell’organico
oggettivabile senza resti.. Il sintomo psicoanalitico, il sintomo preso
dalla parte dell’inconscio che parla, si produce nell’interstizio tra
desiderio e legge, veicola un sapere non saputo, un tragitto, una
storia, un romanzo familiare, una tessitura, e, sempre più spesso
pezzi, brandelli, frammenti di illusioni e di sogni
di un soggetto che
non ha saputo, non ha scelto di costituirsi come tale. Nel cuore del
piccolo autistico, della sua strategia di sopravvivenza, occorre
riconoscere la dimensione somato-psichica dell’angoscia di
frammentazione dell’infans cui risponde la necessità etica di un luogo,
di uno spazio, di una presenza che significhi il soggetto come prodotto
da un desiderio non anonimo, Di qui l’importanza per il bambino di un
contesto familiare che, a prescindere dall’identità di genere e dal
sesso biologico, garantisca la ripartizione simbolica delle
cure
familiari tra dimensione affettiva e dimensione legiferante; così all’
interesse particolarizzato della funzione materna occorra corrisponda
chi incarni e regoli la legge.
Il sintomo psicoanalitico è un sapere
del soggetto, o, nel caso dell’autismo, un rifiuto radicale della
parola che veicola il desiderio dell’Altro, che fa inciampo al suo
corpo e al suo godere, e va interrogato in una dimensione atta a
costruirne la particolarità all’interno del contesto familiare in cui
si produce. Il portato etico della psicoanalisi, nella particolarità
del suo sapere di uno per uno, si allinea alle scienze umane che
sostengono la politica della memoria.
“ La psicoanalisi è una politica
della memoria dove memoria va intesa come storia, non soltanto né
fondamentalmente come recupero del passato, ma storia come nesso del
rapporto con l’Altro che ci ha preceduto, storia come catena
generazionale, storia come racconto. Per questo, in psicoanalisi,
parliamo di storicizzazione di una vita. Ma, in secondo luogo, la
storicizzazione sa di costruirsi mentre si rimemora. In realtà essa
vuol dire storicizzare, costruire al posto di rimembrare, operazione
giocata sull’immaginario dell’amore ( di transfert ) nel costruire il
debito, nel costruire la colpa, ciò che serve a dare una certa
consistenza e logica al presente, a tracciare nel modo più limpido le
vie che lo rendono debitore del passato. Per questo storicizzare non è
solo archeologia del passato ma costruzione del futuro perché comporta
l’assunzione del nuovo, in opposizione a ciò che il soggetto assume
come suo sintomo, perché che cosa è il sintomo se non l’assunzione di
quest’anticaglia chiamata rimosso.
La politica della psicoanalisi
rispetto alla memoria riscatta l’implicazione soggettiva e si oppone
alla chiusura della breccia che apre il reale del trauma, riscatta la
singolarità dell’avvenimento per fare sì che qualche cosa della
ripetizione venga modificato e la soggettività venga raggiunta di
nuovo.
Solo così il sottile presente può consentire la promessa di un
dolce domani. I tempi logici del reale del corpo, dell’immaginario
della storia, che si costituisce, della trama simbolica che lega e
soggettiva gli eventi, non sono derogabili.
L’ “ evaporazione del padre
“ come elemento proprio della società attuale, l’avere sostituito la
norma alla legge, l’avere fatto del soggetto e delle sue derive
sintomatiche una costellazione di cifre riconoscibili universalmente e
delle terapie di parola degli strumenti omologabili e replicabili,
sancisce, per le neuroscienze, l’avvento di un uomo nuovo, senza
qualità, l’uomo quantitativo.
Dell’appiattimento del simbolico sul
reale contalizzabile racconta Musil a proposito del suo eroe, Ulrich,
che patisce di questo disincanto. Ulrich, che è un matematico, che
crede alla statistica, viene condotto presso un posto di polizia.
Come
Musil racconta, in maniera inimitabile, “ Egli divenne capace di
apprezzare, in un solo istante, il disincantamento che la statistica
faceva subire a se stesso, e il metodo di siglatura e di misurazione
che il poliziotto applicava lo entusiasmò come un poema d’amore
inventato da Satana. “ Ulrich ebbe modo di constatare che “ l’
operatore disseccò la sua persona in elementi insignificanti, derisori
“ e poi, a partire da questi elementi, la ricompose per renderla “ di
nuovo distinta e riconoscibile attraverso questi segni. La propria
soggettività, unica, venne sostituita da un agglomerato di misure che
lo resero tipico.”
Questa decomposizione elementare in tratti
riconoscibili, in cui cogliamo chiaramente l’opzione politica di una
società poliziesca, quando effettuata su grandi numeri, ha per effetto
la scomparsa di ciò che, per tanti secoli, abbiamo chiamato libertà.