Editoriale
DALLA PARTE DELL’INCONSCIO
Marco Focchi
Il tema del Convegno quest’anno è essenzialmente politico: indica una parte, traccia una linea, segna un al di qua e un al di là. La Scuola si mette dalla parte dell’inconscio e colloca, con questo, come antagonista chi rifiuta l’inconscio, chi non accetta la lacuna nella padronanza che esso rappresenta. Si segna così una demarcazione chiara tra la psicoanalisi, che cerca di ristabilire i diritti della soggettività, di ritradurre l’angoscia contemporanea nella logica del desiderio, di entrare nei labirinti del discorso amoroso rovesciando quel che vi è d’incurabile nell’esistenza e facendovi apparire il valore di agalma, e i funzionari della normalità, che vedono nel disagio soggettivo solo un disturbo di personalità, una disfunzionalità da riaggiustare per restituire non un soggetto, ma un subordinato reso conforme alle esigenze di produttività del mercato.Mai come nella nostra epoca si è sentito parlare di un problema dei bambini iperattivi con disturbo d’attenzione. Se ne vede bene il motivo: la perdita d’autorevolezza delle relazioni, la crescita degli imperativi produttivi, la spinta narcisistica che fa dell’Io e della perfezione fisica un oggetto d’adorazione, contrastano infatti la naturale distrazione infantile che alimenta la fantasia, l’allegra fanciullesca possibilità di non cronometrare le proprie giornate, il piacere di perder tempo senza che questo diventi un capo d’imputazione. Conosciamo situazioni in cui la giornata del bambino è programmata dal momento del’attività sportiva, alla lezione di musica, a quella di lingua, in un crescendo senza tregua.La società della misura onnivora, della valutazione superegoica, della contabilità totalizzante, toglie spazio alla vita, ingloba nella banalità di un benessere prescritto ogni deriva verso l’imprevedibile, ogni scintilla di un godimento sottratto al calcolo.Vogliamo metterci dalla parte dell’inconscio per resistere a una deriva sociale che puntando sulla funzionalità, mette l’utile come supremo valore della vita.Ma il nostro titolo ha anche un altro risvolto. Vuole indicare infatti che analista e analizzante sono dalla stessa parte dell’inconscio, che l’analista non ha chiuso i conti con l’inconscio, e che non si erige a figura di esperto di fronte a un utente che chiede soluzioni per sintomi interpretati meramente come disturbi.Chi ha traversato l’esperienza di un’analisi sa il valore creativo insito nel sintomo, lo riconosce come segno di godimento, e non come granello di sabbia da eliminare per far girare alla perfezione un ingranaggio portato al massimo livello d’astrazione e di idealità.Lacan sosteneva che l’interpretazione, lungi dal ridurre l’inconscio, piuttosto lo alimenta. L’analista sta dalla stessa parte dell’inconscio che l’analizzante. Questo significa che la sua analisi continua “con atri mezzi”, anche se non sta più facendo sedute, anche se non sta più incontrando il proprio analista.L’esperienza della psicoanalisiDobbiamo allora considerare che l’analisi è un’esperienza con un valore supplementare, non solo una pratica psicoterapeutica. Naturalmente è possibile renderne conto, e la passe è stata pensata esattamente per questo. Ma anche se non passa per il dispositivo della testimonianza, è importante mettere in risalto che la psicoanalisi in quanto tale implica effetti che vanno al di là del sollievo dalla sofferenza nevrotica o della restituzione di una vita possibile allo psicotico, e che coinvolgono il soggetto nella produzione del nuovo, che possono fargli fanno toccare limiti tra pensiero ed essere, tra linguaggio e pulsione, che non sono a portata di nessun altra esperienza.I casi presentati in questa sezione del convegno potranno rendere conto degli effetti che non sono solo di terapia, e potranno rendere leggibile questo continente meno esplorato dalla letteratura tradizionale.Lo psicoanalista-psicoanalizzanteQuesto tema nuovo emerso nel dibattito recente dell’AMP merita di essere ripreso nel nostro Convegno perché è uno dei fattori trainanti nel rinnovamento della Scuola. Occorre mettere al centro l’esperienza che l’analista ha della propria analisi e il modo in cui la ritrova nel proprio lavoro clinico. In alcuni orientamenti contemporanei questo aspetto viene appiattito sotto la rubrica del controtransfert, ovvero nell’ostentazione del modo in cui l’analista, nelle sedute, ascolta se stesso piuttosto che il paziente.Per noi, piuttosto, si tratta della posizione dell’analista nella sua dissimmetria. Da una parte l’analista occupa la posizione di parvenza d’oggetto, dall’altra c’è il paziente come soggetto. Ma occupare la posizione di parvenza d’oggetto non è un titolo ad honorem, una posizione acquisita una volta per tutte. Essa rimanda continuamente, in altro spazio che non è quello della seduta con il paziente, al compito interminabile di un lavoro sul proprio inconscio.In questa sezione sarà dunque interessante esplorare i contraccolpi della pratica clinica e il loro rimando al rapporto dell’analista con il proprio inconscio.Inconscio e sintomoSe l’inconscio, nella sua natura linguistica, è luogo delle parvenze e dei fantasmi, il sintomo ha un punto irriducibile, che Lacan ha chiamato sinthome, che noi traduciamo sintoma. Nel momento in cui il soggetto supera il proprio conflitto nevrotico con il godimento, nel momento in cui vi consente, questo punto appare per quel che è: un segno di godimento che non è da interpretare, che non è da eliminare, e che è disponibile per un nuovo uso.In questa sezione si tratterà di esplorare il nuovo binario della clinica, quello tra parvenze e sintoma, il cui programma è stato lanciato due anni fa a Buenos Aires da Jacques-Alain Miller, e sul quale dovremo lavorare ancora negli anni a venire.