Sigmund Freud (1856-1939), il fondatore della psicanalisi.
GIANCARLO DOTTO
L’effetto rigenerante del nemico. L’effervescenza di questi tempi della psicoanalisi italiana si spiega anche così, la necessità di organizzare una risposta al Libro nero, spettacolare e molto mediatizzata aggressione al cuore della terapia freudiana e lacaniana. Una raccolta di saggi, uscita da noi lo scorso inverno, in cui una quarantina di killer, odiatori conclamati di Freud, tra psichiatri, ricercatori universitari, moralizzatori vari, danno il meglio o il peggio di sé, a seconda del punto di vista, per annientare agli occhi del mondo la credibilità scientifica della psicoanalisi. Freud? Un cocainomane misogino e ciarlatano. Un dilettante allo sbaraglio con una propensione al delirio. E ancora: uno Sherlock Holmes dell’anima, il cui unico merito sarebbe quello di saper ordire delle trame oscure, suggestioni anche ben raccontate ma prive di qualunque fondamento. Il transfert? Uno scaltro strumento di manipolazione per rendere l’analisi interminabile e lucrativa.Insomma, Freud e i suoi emuli, gentaccia che abusa della credulità umana, secondo i teorici che sostengono la misurabilità e di conseguenza la medicabilità del dolore. Una provocazione, la loro, ufficialmente destinata all’opinione pubblica ma che, quando esce in Francia due anni prima, strizza più di un occhio al mondo della politica per indurlo nella tentazione di considerare le terapie cognitivo-comportamentali come l’unico vangelo possibile di una «psicoanalisi di Stato», con tutti gli effetti del caso, farmacisti in prima linea. Dibattito per fortuna non riproducibile da noi dove la legge Ossicini, discutibile per altri versi, garantisce di fatto la libertà di terapia e non chiede soprattutto ai burosauri di Stato di farsi carico della sua formazione (anche se permangono, qua e là, incombenti manie di introdurre comunque dei protocolli standard). Euforici e reattivi soprattutto i lacaniani che, nel nome dell’etica della psicoanalisi, rispondono con un’opera a loro volta corale. Presentato a Roma in questi giorni, nella sua versione italiana, riveduta e corretta, l’Anti-libro nero della psicoanalisi (a cura di Jacques Alain Miller e di Antonio Di Ciaccia, Quodlibet) è la risposta articolata all’attacco dei cognitivisti. Nel volume sono raccolti sotto specie di «stoccate» 40 testi di psicoanalisti e non contro «la tenaglia dello scientismo-amministrazione» a cui si aggiungono altri contributi originali, non presenti nell’edizione francese, incluso quello dal significativo titolo «Perché tanto odio?» di Elisabeth Roudinesco. Tra sberleffo e critica puntuta, la studiosa parigina ripercorre la storia di quelli che sotto la definizione di «anglofoni e terapeuti comportamentisti» smaschera come i campioni «di una nuova scienza della normalizzazione delle coscienze che pretende di guarire i mali dell’anima in dieci sedute e senza alcuno scacco», utilizzando metodi statistici che pretendono di schedare la sofferenza, appoggiandosi sui criteri livellanti del marketing per rendere l’infelicità «compatibile con gli ingozzamenti farmacologici».Una sorta di «furor sanandi» aggregato all’infallibile terapia della felicità. Come suggerisce nel suo testo Jacques Alain-Miller, genero di Lacan e direttore del Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi, che spiega come queste tecniche, apparse contemporaneamente in America (il cognitivismo) e nella russia staliniana (il pavlovismo), condividendo la ricerca della rapidità nelle cure, agiscono cavalcando la suggestione del «guarire». La contraerea lacaniana non si ferma all’Anti-libro nero. Gli effetti terapeutici rapidi in psicoanalisi, uscito in questi giorni per Borla, è il frutto di una conversazione a più voci nella quale, attraverso la discussione di casi trattati gratuitamente per un breve tempo prefissato caso per caso, si dimostra che la psicoanalisi, come ogni altra terapia, può avere degli effetti rapidi e risolutori sulla vita del soggetto, a partire dall’incandescenza della sua parola e dalla individuazione della «trappola» in cui è recluso. «Il metodo cerca nel clima di accoglimento della parola, proprio del dispositivo analitico, di sciogliere ciò che ha condotto colui che soffre ad un impasse che gli chiude l’orizzonte della vita e dalla quale cerca di uscire». Infine, sempre sul tema, il Seminario X di Jacques Lacan. Tradotto da Antonio Di Ciaccia, presidente dell’Istituto freudiano di Roma e pubblicato di recente in Italia presso Einaudi, risulta di una modernità sconcertante. Contro la pretesa medico-psichiatrica di silenziare il disagio, la psicoanalisi rivendica il tramite dell’angoscia come la bussola che ci può orientare sulle verità del soggetto. Sintomo paradigmatico del malessere contemporaneo: collassati gli apparati simbolici e ideali che forniscono riparo e protezione, il soggetto liberato dai suoi vincoli cede a sua volta, annaspa e frana in una vacuità dove non è più possibile agganciarsi alla fede e alla protezione di un padre ideale, né ad una legge fondata che funzioni da cornice. L’attacco di panico, patologia alla moda, è l’esatto paradigma che ci mostra un soggetto in una dimensione di scacco, indicibile in quanto non simbolizzabile. Non si tratta, fa capire Lacan, di tappare la falla che si è aperta nell’esistenza del soggetto, «ma di insegnargli a muoversi intorno senza caderci dentro». Allo stesso modo, la società dei gadget sembra ossessionata dalla smania di colmare ogni vuoto, lasciando il soggetto esposto all’incapacità di fare i conti con il desiderio. Ecco lo scacco, a partire dal dimostrabile concetto che c’è creazione là dove c’è mancanza. I nostri figli crescono in un apparato sociale iperprogrammato e saturo di oggetti, dove manca l’intervallo che possa sostenere il soggetto nell’attivazione del desiderio. Il farmaco diventa la soluzione prêt-à-porter per eludere ogni rapporto con il vuoto. Ecco la depressione, malattia attualissima di una società che non ce la fa più a stabilire confidenza con la perdita.
Los psicoanalistas en el diván
El « Libro negro » reaviva la eterna diatriba entre los profesionales del inconciente
GIANCARLO DOTTO
El efecto regenerador del rencor. La efervescencia del psicoanálisis italiano de estos tiempos, se despliega incluso así, la necesidad de organizar una respuesta al Libro negro, espectacular y muy mediática agresión al corazón de la terapia freudiana y lacaniana. Una colección de sabios, salió en nuestro medio el invierno pasado, entre los cuales una cuarentena de killer, aclamados enemigos de Freud, entre los cuales hay psiquiatras, investigadores universitarios, y moralizadores varios, dan lo mejor o lo peor de sí, según el punto de vista, para aniquilar ante los ojos del mundo, la credibilidad científica del psicoanálisis. ¿Freud? Un cocainómano misógino y charlatán. Un diletante aventurero, con una propensión al delirio. E incluso: un Sherlock Holmes del alma, cuyo único mérito sería el de saber urdir, a partir de la trama oscura, sugestiones incluso bien contadas pero privadas de cualquier fundamento. ¿La transferencia? Un astuto instrumento de manipulación para volver interminable y lucrativo el análisis.
En suma, Freud y sus émulos, gentuza que abusa de la credulidad humana, según los teóricos que sostienen lo mensurable y en consecuencia la medicalización del dolor. Una provocación, la de ellos, oficialmente destinada a la opinión pública pero que, cuando sale en Francia, dos años antes, convoca al mundo de la política para inducirlo a la tentación de considerar la terapia cognitivo comportamental como el único evangelio posible de un “psicoanálisis de Estado”, con todos los efectos del caso, los farmacéuticos están en la primera línea. Por suerte, un debate no reproducible entre nosotros donde la ley Ossicini, discutible en otros aspectos, garantiza de hecho la libertad de terapia y no pide especialmente a los burosaurios del Estado hacerse cargo de su formación (incluso si permanecen, aquí y allá, ideas de superación para introducir de algún modo los protocolos estándar).
Sobretodo eufóricos y reactivos los lacanianos que, en el nombre de la ética del psicoanálisis, responden con una obra también coral. El Anti libro negro del psicoanálisis (bajo la supervisión de Jacques-Alain Miller y de Antonio Di Caccia, Quodlibet) presentado en Roma en es día de hoy, en su versión italiana, revisada y corregida, es la respuesta articulada al ataque del cognitivismo. En el volumen se recogen bajo la forma de “estocadas” 40 textos de psicoanalistas y contra “la tenaza del cientismo gerenciador” a los cuales se agregan otras contribuciones originales, no presentes en la edición francesa, incluso aquella con el significativo título “¿Por qué tanto odio?” de Elisabeth Roudinesco. Entre disgustada y crítica aguda, la estudiosa parisina recorre la historia de aquellos que bajo la definición de “anglófonos y terapeutas comportamentales” desenmascarará como los campeones de una nueva ciencia de la normalización de la conciencia que pretende curar los males del alma en diez sesiones y sin ningún fracaso, utilizando métodos estadísticos que pretenden que se anote en un registro el sufrimiento, apoyándose en el criterio nivelador del marketing para volver la infelicidad “compatible con la tolerancia farmacológicaUna suerte de “furor sanandi” agregado a la infalible terapia de la felicidad.
Como sugiere en su texto Jacques Alain-Miller, yerno de Lacan y director del Departamento de Psicoanálisis de París que muestra cómo esta técnica, difundida al mismo tiempo en América (el cognitivismo) y en la Rusia stalinista (el pavlovismo), compartiendo la búsqueda de la rapidez en la cura, actúan cabalgando la sugestión del “curar”. La defensa lacaniana no se termina con el Anti libro negro. Los efectos terapéuticos rápidos en psicoanálisis, aparecido en estos días, de la editorial Borla, es el fruto de una conversación a varias voces en la cual, a través de la discusión de los casos tratados gratuitamente por un corto tiempo estipulado caso por caso, se demuestra que el psicoanálisis, como cualquier otra terapia, puede tener efectos rápidos y resolutorios en la vida del sujeto, a partir de la emisión de su palabra y de la individualización de la “trampa” en la que está encerrado. “El método busca en el clima de recepción de la palabra, propio del dispositivo analítico, liberar aquello que ha conducido a quien sufre a un impasse que le cierra el horizonte de la vida y de lo cual busca salir”. Finalmente, siempre sobre el tema, el Seminario X de Jacques Lacan, traducido por Antonio Di Ciaccia, presidente del Instituto freudiano de Roma y publicado recientemente en Italia, editado por Einaudi, resulta de una modernidad desconcertante.Contra la pretensión médico psiquiátrica de silenciar la dificultad, el psicoanálisis reivindica la tramitación de la angustia como la brújula que puede orientar sobre la verdad del sujeto. Síntoma paradigmático del malestar contemporáneo: colapsados los aparatos simbólicos e ideales que proveen reparo y protección, el sujeto liberado de sus vínculos cede a su vez, confundido y derrumbado a una vacuidad donde no es más posible engancharse en la fe y protección de un padre ideal, ni a una ley fundada que funcione de marco. El ataque de pánico, patología de moda, es el paradigma exacto que nos muestra un sujeto en una dimensión de fracaso, indecible en cuanto no es simbolizable. No se trata, nos hace entender Lacan, de tapar la falta que se ha abierto en la existencia del sujeto, “sino de enseñarle a moverse alrededor sin caerse adentro”-
Del mismo modo, la sociedad del gadget parece obsesionada con la manía de colmar cada vacío, dejando al sujeto expuesto a la incapacidad de hacer sus cuentas con el deseo. De allí la desconfianza en partir de la idea demostrable que hay creación allí donde hay falta. Nuestros hijos crecen en un aparato social hiperprogramado y saturado de objetos que activan el deseo. El fármaco se vuelve la solución prêt à porter para eludir toda relación con el vacío. De allí la depresión, enfermedad actualísima de una sociedad que no está dispuesta a tener confianza en la pérdida.Traducción: Silvia Baudini