LA FORMAZIONE DELLO PSICOANALISTA ( frammento )
di
Carmelo Licitra Rosa
Per una critica
Quel che a nostro giudizio rende estremamente intricato e impacciato l’inquadramento dei rapporti fra analisi e supervisione è la visione stessa del processo analitico come fondamentalmente simmetrico, come segnato cioè da un’indiscutibile reciprocità fra paziente e analista. A tale visione, in cui riconosciamo i limiti propri di una concezione avviluppata nel registro immaginario, ne opponiamo un’altra, sulla scia di Lacan, radicalmente asimmetrica, salutando in tale asimmetria l’indice sicuro dell’avvenuta transizione dal livello immaginario ai livelli simbolico e reale. Tale asimmetria comporta essenzialmente che solo al paziente spetti nella cura il ruolo di soggetto dell’inconscio, cioè di soggetto attivo del lavoro in atto, all’analista essendo riservata la posizione di sembiante d’oggetto. Già questo proscrive come improprio al trattamento analitico qualsiasi scambio emotivo e qualsiasi travaso affettivo dall’uno all’altro, che invece manda in sullucchero tutta la letteratura esaminata finora. Ma la cura analitica è un processo, una sorta di divenire, la cui terminazione effettiva si può designare in una trasformazione che si deve compiere dal lato del paziente, quella da soggetto a oggetto, passaggio che la procedura della passe – come vedremo – è appunto chiamata a verificare e a ratificare.
Per contro, l’analista opera durante tutta la cura in posizione di oggetto, quella stessa per l’appunto che si acquisisce con la fine dell’analisi e che consente di affermare, come si vedrà nel seguito, che l’analista è il prodotto di un’analisi condotta fino al suo termine. Ora è esattamente la tenuta di questa posizione di sembiante d’oggetto, condizione imprescindibile perché l’analista sia capace dell’atto analitico, che il praticante è sollecitato a verificare costantemente e a dimostrare nella seduta di controllo.
Altro importante fattore di semplificazione e di schematizzazione nell’orientamento lacaniano è la separazione netta tra l’esercizio di una pratica – con quello che può avere di dimensione di insegnamento – dall’operazione del giudizio, che occorre emettere sugli effetti e sulla qualità di questa pratica. Mentre infatti la prima spetta al supervisore, la seconda è assicurata da una commissione regolarmente insediata fra gli organismi della Scuola di Lacan, e detta Commissione della garanzia. Analogamente, nell’analisi l’analista è sollevato dal compito di giudicare, che è affidato alla procedura della passe.
Un’altra critica verrà articolata a partire dall’esame della prassi del controllo nell’IPA.
A un dato momento dell’analisi didattica, col consenso del proprio analista, il candidato inoltra domanda alla cosiddetta Commissione per l’insegnamento di poter passare al rango di tirocinante.
Anche se questa decisione può precipitare ad analisi didattica ultimata, di solito quando compie questo passo il candidato è ancora in analisi: e tuttavia questo atto, al di là della sua formalità e consuetudine, suggella il passaggio dalla posizione di analizzante a quella di analista praticante sotto controllo.
In sostanza il candidato comincia a cimentarsi come analista sotto la supervisione di due psicoanalisti didatti, fra i quali ovviamente non può figurare l’analista che ha condotto o che sta ancora conducendo l’analisi didattica. E’ quindi nel quadro di una pratica dell’analisi sotto controllo che il candidato comincia ad essere valutato nelle sue performances, dal momento che i due supervisori sono chiamati a giudicare le sue attitudini nella pratica analitica e a vegliare sulla sua istruzione teorica, facendone regolare rapporto alla Commissione per l’insegnamento. Questa alla fine dovrà emettere un giudizio, potendo per esempio imporre al candidato di riprendere l’analisi qualora egli l’abbia sospesa, rifiutargli il titolo di psicoanalista, accordarglielo, ecc…
Dunque quel che emerge è che a un certo punto si distoglie lo sguardo dall’andamento dell’analisi per puntarlo sulla pratica, senza che si veda bene la ragione di questo salto. Abbiamo però motivo di sospettare che la causa di questo scivolamento possa essere individuata nell’assenza di una concezione precisa sulla fine dell’analisi in seno all’IPA. Non che non esistano teorie sulle modalità con cui può finire un’analisi: si pensi all’identificazione con l’analista in voga nell’Egopsychology. Tuttavia, senza l’idea di scansione logica puntuale, tutte queste concezioni lasciano relativamente sfumata l’individuazione precisa del punto terminale, lo stesso che Lacan chiamava « la spessa ombra » che, circondando la fine dell’analisi, « copre questo raccordo » (quello del passaggio da analizzante ad analista), e che egli si riprometteva di dileguare con l’invenzione della passe. Come vedremo oltre, tale procedura ha infatti l’ambizione di identificare l’analista non nel suo saper fare, e quindi nel suo potere di analista, ma nel suo essere tale, quell’essere che coincide con l’essere diventato al culmine del processo analitico.
Senza una simile teoria, di cui la passe è solo il corollario, l’analista non può essere definito diversamente che sulla base del suo saper fare. Quel che accade nell’IPA è dunque strettamente consequenziale alla carente elaborazione della teoria sulla fine dell’analisi. Non potendo stabilire cioè che cos’è un analista, lo si deve individuare necessariamente dal suo saperci fare nella pratica clinica. Ciò implica in concreto che l’attenzione venga distolta dall’analisi nel suo stadio terminale, intorno al quale non si è in grado di veder chiaro, per essere puntata verso la pratica, di cui si sollecitano i primi approcci allo scopo di ricercarvi – per ricercare cioè nelle capacità di cui il principiante può dar prova nei suoi primi approcci con la clinica – i segni obiettivi di un analista effettivamente all’opera.
LA FORMACION DEL PSICOANALISTA (fragmento)
por
Carmelo Licitra Rosa
Para una crítica
Aquello que para nuestro juicio vuelve extremadamente intrincado y confuso el encuadre de las relaciones entre análisis y supervisión es la visión misma del proceso analítico como fundamentalmente simétrico, como signado por una indiscutible reciprocidad entre paciente y analista. A tal visión, en la cual reconocemos el límite propio de una concesión realizada confusamente en el registro imaginario, le oponemos otra, bajo la estela de Lacan, radicalmente asimétrica, saludando en tal asimetría el índice seguro de la transición del nivel imaginario al nivel simbólico y real. Tal asimetría comporta esencialmente que solo al paciente le compete en la cura el papel de sujeto del inconciente, es decir de sujeto activo del trabajo en acto, al analista le está reservada la posición de semblante de objeto. Ya esto proscribe como impropio al tratamiento analítico cualquier intercambio emotivo o cualquier traspaso afectivo del uno al otro, que por el contrario prima en toda la literatura examinada hasta ahora. Pero la cura analítica es un proceso, una suerte de devenir, cuya terminación efectiva puede designarse como una transformación que debe cumplirse del lado del paciente, la de sujeto a objeto, pasaje que el procedimiento del pase – como veremos – está llamado a verificar y a ratificar.
Por el contrario, el analista opera durante toda la cura en posición de objeto, esta incluso para el juicio que se adquiere con el fin del análisis y que consiente en afirmar, como se verá a continuación, que el analista es el producto de un análisis conducido hasta su término. Entonces es el sostener esta posición de semblante de objeto, condición imprescindible para que el analista sea capaz del acto analítico, que el practicante es solicitado a verificar constantemente y a demostrar en la sesión de control.
Otro importante factor de simplificación y de esquematización en la orientación lacaniana es la separación neta entre el ejercicio de una práctica – con lo que pueda tener de dimensión de enseñanza – y la operación del juicio, que se puede emitir sobre los efectos y sobre la calidad de esta práctica. Mientras la primera espera al supervisor, la segunda está asegurada por una comisión regularmente al trabajo en los organismos de la Escuela de Lacan, y llamada Comisión de la Garantía. Análogamente, en el análisis el analista está relevado del deber de juzgar, que está destinado al procedimiento del pase.
Otra crítica vendrá articulada a partir del examen de la praxis del control en la IPA
En un momento dado del análisis didáctico, con el consenso del propio analista, el candidato demanda a la así llamada Comisión para la enseñanza poder pasar al rango de titular.
Incluso si esta decisión puede precipitar cuando el análisis didáctico está finalizando, lo habitual es que cuando se realiza dicho paso el candidato esté aun en análisis y este acto, más allá de su formalidad y costumbres, subraya el pasaje de la posición de analizante a la de analista practicante bajo control.
En esencia el candidato comienza a cimentarse como analista bajo supervisión de dos psicoanalistas didactas, entre los cuales obviamente no puede figurar el analista que ha conducido o que está aún conduciendo el análisis didáctico.
Y es en el marco de una practica del análisis bajo control que el candidato comienza a ser evaluado en su performance, desde el momento en que los dos supervisores son llamados a juzgar su actitud en la práctica analítica y a vigilar bajo su instrucción teórica, haciendo regulares informes a la Comisión de Enseñanza. Esta al final deberá emitir un juicio, pudiendo por ejemplo imponer al candidato el retomar el análisis cuando él lo había suspendido, refutarle el título de psicoanalista, acordarlo, etc.
Sin una teoría como esta, de la cual el pase es solo el corolario, el analista no puede ser definido de otro modo que en base a su saber hacer. Lo que ocurre en la IPA es por lo tanto íntima consecuencia de la carente elaboración de la teoría sobre el fin del análisis. No pudiendo establecer que es un analista, se debe individualizar necesariamente por su saber hacer en la práctica clínica. Esto implica en concreto que la atención se aleje del análisis en su estadio terminal, en torno del cual no se está en posición de ver claro, para dirigirse hacia la práctica, de la cual se solicita la primera aproximación con el fin de buscar- para buscar la capacidad de la cual el participante puede dar pruebas en sus primeras aproximaciones con la clínica – el signo objetivo de un analista efectivamente en función.
Traducción Silvia Baudini