Pulsionale versus relazionale
Incalzante, insistente e soltanto apparentemente scivolosa, soltanto ingenuamente insidiosa, rimane la critica rivolta alla psicoanalisi freudiana circa l’aver accentuato la dimensione intrapsichica della pulsione a scapito dello scambio relazionale intersoggettivo. Oggigiorno, tali opinioni giungono soprattutto dagli Stati Uniti dove la psicoanalisi intersoggettiva acquista un posto preminente non senza dei riferimenti a un Lacan, specialmente il Lacan degli anni Cinquanta, letto in chiave fenomenologica come critico del mito della mente isolata di stampo cartesiano[1]. Le considerazioni critiche verso il concetto di pulsione in Freud sono in effetti ben più datate e originano da W. Reich, da alcune elaborazioni della Scuola di Francoforte, da altre ricerche non prive di interesse della scuola ungherese di psicoanalisi che si riuniva intorno a Ferenczi e si strutturarono in una teoria dalle cornici più rigorose nel Regno Unito. Si ricordi la celebre affermazione di Fairbairn circa la libido come ricerca della relazione oggettuale anziché del piacere sessuale; lo citava alla lettera lo stesso Lacan: “la libido non è più pleasure-seeking, bensì object-seeking. […] A più riprese, ho potuto indicarvi le deviazioni pratiche che essa comporta, alcune delle quali non sono prive di rischi”[2].
Per cogliere in quale modo Lacan vada oltre la contrapposizione dialettica pulsionale-relazionale, si tratta di aver ben presente come la pulsione per Lacan sia organizzata dal significante. La pulsione, per Lacan, si organizza anzitutto nella forma di una domanda strutturata come una catena significante inconscia. Perfino superflua risulta in questa sede la distinzione fra Trieb e Instinkt. La pulsione non è affatto l’istinto – termine che, peraltro, si ritrova soltanto sei volte nell’omnia opera di Freud. L’istinto si fonda sul ritmo delle funzioni biologiche; la dinamica pulsionale si basa, invece, su di una spinta costante, sul principio di costanza[3]. Le pulsioni sono “la nostra mitologia. Sono entità mitiche” – scriveva Freud[4]. Non è certo un caso che i riferimenti alla filosofia vengano proposti da Freud sempre in riferimento alle tematiche pulsionali. Basti, per questo, ricordare il mito dell’androgino tratto dal Simposio di Platone e l’approdo nel porto della filosofia di Schopenhauer, in Al di là del principio di piacere; basti rileggere la citazione di Empedocle a proposito del dualismo pulsionale in Analisi terminabile e interminabile. Se il desiderio si impernia sull’Altro in quanto il desiderio è sempre il desiderio dell’Altro e ciò viene ampiamente dimostrato dalla struttura clinica maggiormente intersoggettiva ovvero dall’isteria, la pulsione stessa – almeno nel Lacan degli anni Cinquanta – non è affatto priva di nessi con l’Altro. La pulsione implica sempre, in un certo qual modo, la relazione dal momento che è strutturata come una catena significante inconscia: la pulsione include l’Altro e lo scambio dialettico con l’Altro. La pulsione viene letta da Lacan come una domanda a livello del suo grafo e “la domanda verte su altro che non sulle soddisfazioni che chiede. Essa è domanda di una presenza o di un’assenza”[5].
Dualismo e monismo pulsionale
In Freud si ritrova sempre, in effetti, il dualismo pulsionale. Distinguendo a questo proposito tre fasi della teoria freudiana, ritroviamo il dualismo fra pulsione sessuale e pulsione di autoconservazione in un primo periodo, poi quello fra amore oggettuale e narcisismo negli anni Dieci, quindi quello fra Eros e pulsione di morte dopo la svolta della seconda topica. In Freud, se vi è sanità psichica, essa sta nell’impasto pulsionale mentre la psicopatologia concerne il disimpasto pulsionale.
Lacan non pone in primo piano il dualismo pulsionale. Per il Lacan del grafo, la pulsione è un effetto del significante sul soggetto. “Questo perché il significante come tale, sbarrando il soggetto per prima intenzione, ha fatto entrare in lui il senso della morte. Ecco perché ogni pulsione è virtualmente pulsione di morte”[6]. Certo la pulsione di morte, per Lacan, va distinta da una mera pulsione di distruzione. La pulsione ha più a che fare con il simbolico che uccide la cosa. La pulsione di morte riduce la tensione, lenisce il dolore. La pulsione non è mai puramente reale, non coincide mai con un reale che sfugge a ogni simbolizzazione. Si colloca sempre al limite fra somatico e psichico per Freud, sempre al limite fra reale e simbolico per Lacan. La pulsione di morte va distinta dal reale trovandosi piuttosto sul versante del simbolico. Leggo la dimensione del Todestrieb freudiano come una spinta a ridurre le tensioni, a mortificare il corpo nei termini di una desertificazione del godimento che apre spazio al desiderio in quanto “il simbolo si manifesta in primo luogo come uccisione della cosa, e questa morte costituisce nel soggetto l’eternizzazione del suo desiderio”[7]. In questa tesi vi è sicuramente l’influsso della lettura di Hegel compiuta da Kojève, del quale Lacan seguì i seminari pochi anni prima, secondo cui ogni concetto equivale ad un assassinio. In Hegel, soprattutto il concetto di aufhebung sintetizza i poli della dialettica elevando ed eternizzando qualcosa che era presente. Il simbolico diventa in effetti presenza in assenza, rende presente l’assente e assente cio che è presente. La pulsione di morte in quanto taglio significante umanizza l’organismo sottraendolo alla natura, secondo l’algoritmo strutturalista in base al quale il culturale si sostituisce al naturale. Ne costituisce un emblema il totem descritto da Freud, a proposito dell’uccisione del padre dell’orda primordiale; in questo mito, ciò che i fratelli si proibivano per la presenza del padre, viene poi proibito dal totem che sostituisce simbolicamente il padre secondo un’obbedienza in après-coup.
A livello del grafo e, dunque, del Lacan fino ai primi anni Sessanta, la pulsione risulta correlata alla catena significante; il desiderio, il desiderio fallico, è il significato. Questa distinzione fra significante e significato si costituisce evidentemente in modo analogo a quella della metafora paterna fra il significante paterno e il fallo come risultato dell’operazione di sostituzione al Desiderio della Madre nelle specie del significato. Il fantasma fa da raccordo fra desiderio e pulsione. Non a caso, la pulsione è un concetto fondamentale della psicoanalisi mentre il desiderio non lo è, almeno non esplicitamente; semmai il desiderio è incluso nella pulsione come resto dell’operazione di obliterazione simbolica del bisogno, come al di là della domanda. Alla fine del suo seminario XI, nell’ultima lezione, Lacan sembra progettare qualcosa di quanto emergerà in modo nitido con la sua Proposta. Cito testualmente: “dopo il reperimento del soggetto rispetto all’a, l’esperienza del fantasma fondamentale diventa la pulsione. Che cosa diventa, allora, colui che è passato attraverso l’esperienza di questo rapporto, opaco all’origine, con la pulsione? In che modo un soggetto, che ha attraversato il fantasma radicale, può vivere la pulsione? Questo è l’al di là dell’analisi e non è mai stato affrontato. Fino a ora non è affrontabile che a livello dell’analista nella misura in cui si dovrebbe esigere da lui che abbia precisamente attraversato nella sua totalità il ciclo dell’esperienza analitica. […] E’ in quanto il desiderio dell’analista, che resta una x, tende nel senso esattamente contrario all’identificazione che è possibile il superamento del piano dell’identificazione tramite la separazione del soggetto nell’esperienza. L’esperienza del soggetto è così ricondotta al piano in cui può presentificarsi, della realtà dell’inconscio, la pulsione”[8].
Esattamente un secolo fa, nel 1920, veniva pubblicato uno fra i testi di Freud più densi e gravosi: Al di là del principio di piacere. Opera che si centra su una nuova organizzazione metapsicologica destinata a sfociare nella sovversione della prima topica freudiana organizzata secondo un modello detto “psicologia del profondo” che va dalla coscienza superficiale al più profondo inconscio passando per il preconscio quale livello intermedio. Al cuore di Al di là del principio di piacere vi è una ristrutturazione del dualismo pulsionale, sempre presente in Freud, centrato su un’inedita pulsione alternativa a Eros, alla pulsione sessuale. Ecco allora il Todestrieb, la pulsione di morte. La svolta metapsicologica giungerà, nel giro di un paio d’anni, sfociando nella seconda topica dell’apparato psichico imperniata su Io, Es e Super Io.
Pulsione di morte che ha trovato poco seguito nella psicoanalisi non lacaniana, a parte forse l’eccezione della Klein e dei suoi seguaci. Basti ricordare come alcuni autori formatisi nell’ambito della Scuola di Francoforte abbiano letto il Todestrieb soprattutto come una reazione personale di Freud al dramma del primo conflitto bellico mondiale e alla perdita prematura della figlia Sophie, a causa dell’epidemia influenzale detta “spagnola” esitata in una polmonite, proprio nel 1920, esattamente cent’anni prima della pandemia di coronavirus.
La differenza fra libido e pulsione
Una certa psicoanalisi equipara sostanzialmente libido e pulsione. J. A. Miller chiarisce la distinzione fra i due concetti. La pulsione è un “incavo creato dall’annullamento significante e viene a trovarsi colmato, sempre in modo inadeguato da qualunque oggetto”[9], dato che l’oggetto è la parte meno importante e più variabile della quadripartizione pulsionale. I vari oggetti sono equivalenti, di pari dignità e l’oggetto diventa la componente più facilmente intercambiabile della pulsione stessa. La quadripartizione freudiana della pulsione fra fonte, spinta, meta e oggetto pone quest’ultima come la componente pulsionale maggiormente variabile. Gli oggetti costituiscono delle “sostanze episodiche”[10] dell’oggetto ache rinviano, in fondo, all’oggetto sempre mancante.
La pulsione viene intesa da Lacan anzitutto come una catena significante inconscia che scava una mancanza. Questo spazio mancante viene colmato dalla libido, dal desiderio libidico di matrice fallica. “In altri termini, fondamentalmente, la pulsione può ridursi a puro gioco del significante”[11].
Al contrario della pulsione, il desiderio è il significato come resto dell’operazione metaforica detta metafora paterna. Certamente, non si può ridurre del tutto il desiderio al registro dell’immaginario. Vi è anche del simbolico in gioco nel desiderio, analogamente al senso che, nella raffigurazione topologica del nodo borromeo, concerne l’intersezione dei due registri: immaginario e simbolico. Proprio a livello del nodo, il simbolico verrà descritto appunto come la morte (mentre l’immaginario sarà il corpo e il reale la vita), l’effetto mortificante del campo del linguaggio sul corpo e sulla vita.
Per un altro verso, la posizione cruciale conferita al desiderio attraversa l’insegnamento di Lacan. Basti considerare, persino nello stesso seminario, il riferimento a Spinoza e alla frase secondo la quale “il desiderio è l’essenza stessa dell’uomo”[12].
Rimane che il desiderio, per quanto importante, non fa parte dei quattro concetti fondamentali della psicoanalisi proposti nel Seminario XI[13], a differenza della pulsione. E’ un fatto. Dunque, a proposito della triade bisogno, domanda e desiderio che compone la pulsione in La significazione del fallo, “il desiderio non è né l’appetito della soddisfazione né la domanda d’amore, ma la differenza che risulta dalla sottrazione del primo alla seconda”[14].
Lo stesso Freud presentava la pulsione, fin dalle prime righe del testo dedicato al Trieb, nelle specie di un grundbegriff, uno dei “concetti scientifici fondamentali” della psicoanalisi stessa[15]. La pulsione, quale contenente, ospita il desiderio come contenuto e significato.
Sarà proprio del 1920 l’aggiunta di una nota ai Tre saggi nei quali Freud sistematizza le tre note fasi dello sviluppo psicosessuale: fase orale, fase anale e fase genitale. Freud parlava già della Schaulust, della pulsione scopica. Pulsione che si struttura su tre tempi: attivo, passivo e il farsi della pulsione. Guardare, essere guardato, farsi guardare. Sentire, essere sentito, farsi sentire oppure ascoltare, essere ascoltato e farsi ascoltare della pulsione invocante. La stessa pulsione invocante implica due orifizi: le orecchie, che non si possono chiudere, tanto quanto la bocca come orifizio dal quale viene estratta la voce come oggetto a. Si vedano su questo punto i lavori di Maleval circa la non estrazione dell’oggetto anei bambini autistici e la loro estrema difficoltà ad articolare delle parole affiancata spesso dalla curiosità nei confronti delle corde vocali degli altri[16].
D’altro canto, nelle psicosi, la pulsione è pulsione dell’Altro in quanto il paziente stenta a divenire soggetto e tende a rimanere oggetto della pulsione dell’Altro quando non perfino del godimento dell’Altro.
La pulsione orale si configura quale domanda rivolta all’Altro, la pulsione anale quale domanda dell’Altro, come Lacan dispiega ampiamente a proposito di domanda e desiderio negli stadi orale e anale[17]. L’inconscio si presenta come automatismo di ripetizione significante nel lapsus, nel sogno e ancor più evidentemente nel sintomo. Cogliamo la dinamica pulsionale nell’alternarsi logico anziché cronologico di alienazione e separazione. Il modo in cui Lacan presenta alienazione e separazione costituisce evidentemente una propria rielaborazione della pulsione descritta da Freud nella Metapsicologia. L’alienazione si riferisce alla Vorstellungsreprasentanz, al rappresentante della rappresentazione rintracciabile, a proposito dell’iscrizione dell’essere umano nel campo del linguaggio che almeno inizialmente rende il soggetto assoggettato, nello scritto La rimozione[18]. La separazione si collega allo spostamento dell’affetto, all’ammontare affettivo, all’energia libidica che era ancorata alla pulsione. Dunque la separazione costituisce un’operazione pulsionale che implica il desiderio, nell’intervallo della catena significante. La separazione avviene attraverso la funzione dell’oggetto pulsionale, oggetto evanescente, oggetto staccabile, “pezzo staccato”, oggetto causa del desiderio. Questo oggetto viene anch’esso marchiato dal linguaggio, come resto del campo del linguaggio in una “torsione per cui la separazione rappresenta il ritorno dell’alienazione”[19].
Sarebbe confusivo condurre un’analisi verso una trasformazione della pulsione in desiderio, verso una conversione dal vago sapore cattolico della pulsione in desiderio. Questo implicherebbe giungere a mettere in risalto il significato tralasciando il significante. Non si diventa puro spirito in un’analisi, non si trasforma la pulsione in sapere assoluto.
L’Uno e la pulsione
Scrive a chiare lettere Lacan: “il desiderio viene dall’Altro, e il godimento è dal lato della Cosa”[20].
Cosa diventa la pulsione quando impallidiscono il linguaggio e il soggetto, rispettivamente a favore di lalingua e del parlessere? Sia la pulsione sia il desiderio sono meno reperibili nell’insegnamento di Lacan, in quel periodo. La pulsione stessa, nel Lacan degli anni Settanta, si situa a livello dell’Uno. Se il desiderio è il desiderio dell’Altro, “la pulsione è pulsione dell’Uno. A questo livello, l’istanza dell’Altro non ha la presenza che ha nel desiderio. […] La pulsione, essendo dell’Uno, non necessariamente è accordata al desiderio dell’Altro”[21].
Il taglio significante sembra non soltanto restare rilevante nell’ultimo Lacan ma persino acquisire maggior valore dal momento che le sedute analitiche stesse – a quanto riferiscono i suoi analizzanti degli anni Settanta – erano, sia pur variabili, tendenzialmente sempre più brevi. Ogni seduta breve mette in risalto l’oggetto pulsionale e l’Uno-tutto-solo dal momento che si assottiglia l’Altro. L’accento si sposta dunque dalla pulsione come domanda strutturata dalla catena significante alla pulsione autoerotica.
Cos’è l’autoerotismo per Lacan? Mi sembra sia il significante tutto solo, l’Uno da solo.
Che ne è della pulsione come domanda, come domanda inconscia nel momento in cui prevale l’inconscio inteso come inconscio reale? Se non vi è dubbio sul fatto che Lacan si smarchi in parte dalla koinè strutturalista, la lettura della pulsione, pur divenendo non tutta significante, rimane principalmente nel campo del simbolico. Non tutta la pulsione risulta significantizzabile ma la pulsione non viene mai a coincidere con il reale che sfugge a ogni simbolizzazione. Afferma Lacan, nel seminario XXIII, “le pulsioni sono l’eco nel corpo del fatto che vi è un dire”[22]. La pulsione fa riecheggia il dire, l’enunciazione simbolica. Lo fissa nel corpo, in prossimità delle zone erogene.
Vi è certo un resto non significante nella pulsione, modo di accedere al godimento situabile fra il simbolico e il reale come collochiamo fra il simbolico e il reale lo stesso godimento fallico. La pulsione mira al godimento, è spinta verso il godimento, moto verso il godimento ma non lo raggiunge mai del tutto in quanto la legge del significante impedisce il godimento pieno. La pulsione – soggettiva nei casi di nevrosi – ha un’affinità con il godimento fallico, con il godimento che si rintraccia anzitutto parlando, formulando delle proprie frasi a partire dal significante fallico che rimane “il sembiante per eccellenza”[23]. Nel corso dei seminari degli anni Settanta, si coglie molte volte la distinzione operata da Lacan fra il godimento fallico e il godimento femminile che è il godimento del corpo, “il godimento in quanto tale”: questo “è il godimento non-edipico concepito come sottratto dall’edipo, ossia al di fuori del meccanismo dell’edipo. E’ il godimento ridotto all’evento di corpo”[24].
Lacan volge al termine della prima lezione del seminario Il momento di concludere, quando parla di nuovo della pulsione che tende di solito a venire nominata in riferimento alla sessualità. Afferma, allora: « Mais rien ne dit que quelque chose mérite d’etre appelé pulsion, avec cette inflexion que la réduit à etre sexuelle ». Se la pulsione non può essere ridotta alla sessualità, è perché si tratta anche e soprattutto di considerare la pulsione come pulsione di morte. Sarebbe evidentemente del tutto ingenuo schiacciare la pulsione di morte sulla distruttività. Il riferimento alla pulsione torna in auge per l’importanza attribuita alla sublimazione, attraverso l’esempio dell’opera joyciana; sublimazione che, come è noto, costituisce una delle quattro vicissitudini della pulsione freudiana insieme alla rimozione, al rivolgimento su di sé e alla trasformazione nel contrario. Lo sgabello, l’essecabello descritto in Joyce il sintomo è una forma della sublimazione ma che situa la sublimazione e, dunque, la pulsione a partire dal parlessere. Joyce è “affetto da un sintomo che non è l’automatismo mentale, ma che quantomeno rileva degli echi nel linguaggio”. Egli non è tuttavia invaso né tantomeno annichilito da tali fenomeni; anzi, sulla scorta di questi fenomeni, costruisce “il piedistallo sul quale si mette il bello”[25], il bello della sublimazione. L’operazione sublimatoria permette di giungere a un godimento più appagante di quanto avviene con la pulsione, con la pulsione che è sempre lungi dal godimento pieno. Quale appare in effetti la manifestazione più comune, più frequente della sublimazione, sia nella vita quotidiana sia nell’esperienza analitica? Senza dubbio, è l’atto di parola. Determina “un godimento particolare che si prova con il corpo: il godimento della parola”[26]. Godere della parola è una forma emblematica del godimento fallico.
La pulsione, letta con il Lacan degli anni Settanta dal lato dell’Uno, è la “spinta a ripristinare uno stato precedente”; anziché mirare al cambiamento e allo sviluppo, si manifesta come “espressione della natura conservatrice degli esseri viventi”, per citare Freud allorché scrive del Todestrieb[27]. La ripetizione dell’Uno, la coazione a ripetere, l’automatismo di ripetizione ci mettono sulle tracce della pulsione di morte. La pulsione di morte resta principalmente pulsione del significante, il sembiante per eccellenza ovvero ciò che va distinto dal reale del godimento femminile in quanto evento di corpo ininterpretabile.
La mia tesi è dunque questa: sbaglia chi sovrappone la pulsione con il godimento. Il godimento in quanto tale è il godimento femminile; la pulsione, nel Lacan degli anni Settanta, è invece accostabile al godimento fallico.
[1] Si veda a questo proposito il lavoro di R. Stolorow in testi quali Trauma and human existence, Routledge, London, 2007 (Traduzione italiana, Trauma ed esistenza umana) e G. Atwood, D. Orange, R. Stolorow, Working Intersubjectively, The Analytic Press, Mahwah, New Jersey, 1997 (tr. it., Intersoggettività e lavoro clinico, Raffaello Cortina, Milano, 1999).
[2] J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione (1958-1959), Einaudi, Torino, 2016, p. 6.
[3] Significativa, su questo argomento, la focalizzazione di un eminente analista statunitense come Morris N. Eagle, pur da un diverso orizzonte epistemologico, proprio sulla dimensione di costanza della pulsione nel suo volume From classical to contemporary psychoanalysis, Taylor & Francis, Milton Park, 2011 (tr. it., Da Freud alla psicoanalisi contemporanea, Raffaello Cortina, Milano, 2012).
[4] S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), Lezione 32 (Angoscia e vita pulsionale) In Opere, Volume 11, Bollati Boringhieri, Torino, p. 204.
[5] J. Lacan, La significazione del fallo in Scritti, Volume II, Einaudi, Torino, 1974, p. 688.
[6] J. Lacan, Posizione dell’inconscio in Scritti, Einaudi, Torino, Volume 2, p. 852.
[7] J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, Scritti, Volume 1, Einaudi, Torino, p. 313.
[8] J. Lacan, Il seminario XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2003, p. 269.
[9] J. A. Miller, I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma, 2001, p. 22.
[10] J. Lacan, Nota italiana in Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 306.
[11] J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016, p. 533.
[12] Ivi, p. 10.
[13] J. Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2003.
[14] J. Lacan, La significazione del fallo, in Scritti, Volume II, Einaudi, Torino, 1974, p. 688.
[15] S. Freud, Pulsioni e loro destini in Opere, Volume 8, Bollati Boringhieri, 1989, p. 13.
[16] J. C. Maleval, L’autiste et sa voix, Seuil, Paris.
[17] J. Lacan, Il seminario. Libro VIII. Il transfert, Einaudi, Torino, 2008, pp. 216-230.
[18] S. Freud, La rimozione in Metapsicologia, Opere, Volume 8, p. 38.
[19] J. Lacan, Posizione dell’inconscio, Scritti, Einuadi, Torino, 1974, p. 847.
[20] J. Lacan, Del Trieb di Freud e del desiderio dello psicoanalista, Scritti, Einuadi, Torino, 1974, p. 847.
[21] J. A. Miller e A. Di Ciaccia, L’Uno-tutto-solo, Astrolabio, Roma, 2018, p. 255.
[22] J. Lacan, Il seminario. Libro XXIII. Il sinthomo, Astrolabio, Roma, 2006, p. 16.
[23] J. Lacan, Il seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante, Einaudi, Torino, 2010, p. 112.
[24] J. A. Miller e A. Di Ciaccia, L’Uno-tutto-solo, Astrolabio, Roma, 2018, p. 70.
[25] J. A. Miller, Pezzi staccati, Astrolabio, Roma, 2006, p. 18.
[26] E. Laurent, Il rovescio della biopolitica, Alpes, Roma, 2017, p. 61.
[27] S. Freud, Al di là del principio di piacere, Opere, volume 9, p. 222.