DIARIO DELLE GIORNATE DI TORINO #12 Corruzione L’allarme corruzione in Italia deve farci interrogare sull’urgenza di trovare nuovi principi etici che illuminino chi è chiamato a gestire incarichi di responsabilità ad ogni livello. La corruzione è diventata fenomeno di costume, una grave patologia che nello scorso anno ha fatto registrare un aumento di denunce alla Guardia di finanza del 229% ed un incremento del 153% per fatti di concussione. I dati, resi pubblici dal Presidente della Corte dei Conti e dal Procuratore Generale in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario a Roma, confermano che condotte illecite personali, troppo spesso non sviluppano i dovuti anticorpi all’interno delle pubbliche amministrazioni. Tullio Lazzaro, ha aggiunto che il Codice Penale non basta più ed è necessario, per tutti, un <<ritorno all’etica>>. Nel corso della conferenza stampa che è seguita alla cerimonia, ha precisato che << non esiste nessun buco nel bilancio inteso come tale. C’è scarsa correttezza contabile nello scrivere le cifre, ma non esiste nessun buco come denaro pubblico>>. La corruzione, di solito, tende a diventare sistema endemico nei paesi a basso tasso di sviluppo, nelle realtà in cui a causa della povertà di risorse, il legame privatistico con quanti dominano la scena politica diventa << il valore fondamentale>> da difendere, con complicità e con ogni mezzo. L’amministratore della cosa pubblica, non è portato in questo modo ad agire in nome degli interessi collettivi, ma mette in primo piano interessi particolari o scopi del favoreggiamento politico. Tale condotta, si diffonde per ovvi motivi nei paesi poveri ma, è al tempo stesso, causa di sottosviluppo. Se il legame con coloro che detengono un potere decisionale ed amministrativo diventa il fondamento della società , procedere secondo accordi privati ( corruzione) rinforzati o meno da valori aggiunti quali escort, danaro o altro ( concussione) altera le dinamiche sociali sino a rendere impossibile la gestione limpida della cosa pubblica, sino a distorcere, a produrre fumus intorno ad ogni procedura, ad inquinare il rigore giuridico, a ridurre la legge ad esercitazione retorica tesa esclusivamente a ribadire che ciò che si persegue come fine giustifica ogni mezzo e che, in definitiva, in ogni caso la confusione tra legalità e legittimità, può risolversi in una provvisoria identità tra le due. << La scarsa correttezza contabile>> a cui Lazzaro fa riferimento, impone alcune riflessioni. Se l’economia non è riuscita a fornire l’assetto di base su cui fondare i principi del consolidamento societario, se la politica non ha sollecitato né tolleranza né spinta alla convivenza tra diversità riconosciute, la provvisoria identità tra legge e legittimità, apre forse non nuovi ma certamente incresciosi scenari in un Paese già provato dal crollo di grandi ideali ( Chiesa e Democrazia), dalla perdita di valori condivisi,dal dilagare della pretesa egemonica dell’Uno come eccezione che disconferma ogni regola. Il voto delle ultime Regionali, conferma che qualche cosa si è incrinato anche nel sistema elettorale e che il partito degli astenuti è in crescita. Non si sa ancora come interpretare questo dato, ma certamente, il ritorno all’etica evocato da Lazzaro, sollecita in tutti noi l’urgenza di una riflessione. Riflettere sul proprio ruolo, sulle proprie responsabilità, sulle proprie difficoltà che emergono a più livelli nel nostro essere immersi nella società civile, ci richiama ad alcuni dei contenuti più toccanti dell’etica illustrata da J.Lacan nel corso del suo seminario, a più riprese dal Seminario VII° al XII°, dal XX° al XVIII°. Noi psicoanalisti, al lavoro quotidianamente sempre meno con dubbi e sensi di colpa del parlessere, ma sempre più toccati dagli ostacoli posti dalla clinica del reale che si impone senza veli, dobbiamo far sapere che oggi più che mai, la posta in gioco è quella di dare uno spazio all’alterità del singolare, alla responsabilità del soggetto. Nessuna civiltà potrà più reggersi sulla pretesa di negare che il reale senza legge può affiorare nella contingenza più radicale, per ogni soggetto e coglierlo nella sua tentazione a cedere. La psicoanalisi forse potrà proporsi come pratica dell’attraversamento della menzogna in nome della responsabilità del soggetto. Emilia Cece Dalla parte del non tutto Se si sta da una parte non si sta dall’altra. Se, seduti, si guarda fuori dal finestrino, davanti a sé, si può pensare di essere nel paese degli uomini o al contrario in quello delle donne come ci ricorda la scenetta descritta da Lacan dei due passeggeri di un treno in corsa al passaggio in una stazione. Ecco un modo di vedere ciò che è il mondo: guardare davanti a sé e pensare che la conoscenza nata dall’evidenza stampigliata in un simbolo dica tutto escludendo l’Altro che manca. Nel tentativo di raggiungere la conoscenza perfetta, attraverso il simbolo, si ha una conoscenza imperfetta perché non tiene conto dell’Altro. Stare dalla parte dell’inconscio significa permettersi di uscire dal paradiso di una scienza cognitiva del « riesco completamente a conoscere l’oggetto del mio studio, a circoscriverlo e descriverlo, a de-finirlo » e entrare in quello spazio del sapere non calcolabile, in un sapere soggettivo, collocato nell’inconscio vivo, parlante, mai immobile, beante nel suo aprirsi e chiudersi. Per chi è impegnato nella e dalla psicoanalisi seguendo la traccia freudiana e avventurandosi nei nodi lacaniani, esiste il tu puoi sapere. Stare dalla parte dell’inconscio è la contingenza dell’incontro con un sapere altro, soggettivo. Questa è la molla che mette al lavoro il soggetto. Ma la psicoanalisi non risponde a questa domanda se non con quel « tu » offrendo la possibilità di saperne un po’ di più; l’analisi è un’occasione, è un’esperienza da farsi prima di poterne dire ma non tutto. La contingenza dell’incontro con l’inconscio, sempre sinthomatico, reintroduce la parzialità del non tutto: non tutto è nell’evidenza delle cose. Questo limite illimitato apre alle domande fondamentali sulle quali ogni civiltà si costituisce: la nascita, il sesso, la morte. Oggi stare dalla parte dell’inconscio è riproporre quelle domande come modalità di interrogazione che il parlessere abborda con il linguaggio, abitando i Discorsi che Lacan ci ha lasciato come modi sociali di trattare il reale. Stare dalla parte dell’inconscio è spingersi là dove non c’è risposta possibile. E’ spingersi fino a trovare il resto di reale che indica come tutto non sia pareggiabile e a somma zero: il resto che ci muove è la nostra causa. Nel mondo scientista della conoscenza fondata sulla ricerca statistica come metodo, la psicoanalisi, pratica dell’impossibile, spinge alla ricerca soggettiva perché, uno per uno, si possa tentare di dirne qualcosa. In questo momento storico e politico, la globalizzazione e la liquidità, illudono che tutto sia possibile o niente sia possibile, la psicoanalisi lacaniana testimonia il non tutto. Riportare l’attenzione sul non tutto, sul limite della conoscenza cognitiva, significa contrastare la banalizzazione e l’appiattimento sulla moda delle risposte odierne che trattano i legami tra gli esseri umani come pezzi di un puzzle da completare. E’ aprire alla contingenza di un incontro conturbante come lo è l’incontro con il reale e il suo possibile trattamento. Stare dalla parte dell’inconscio è lasciare aperto uno spazio, è creare una crepa, è servirsi di ciò che disturba, è fare con il resto, è l’amore per i conti che non pareggiano, è l’incontro con un altro modo di sapere. Alide Tassinari
Link per il convegno: http://tutto-torino.blogspot.com/ Link per il Forum: http://www.scuolalacaniana.it/appuntamenti_scheda.asp?s=1&id=246
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