Dell’unicità di un singolare resto
Loretta Biondi
Non riuscivo a distinguere tra destra e sinistra né ad orientarmi.
Avrei potuto urlare dal terrore di sentirmi persa.
Ma ho allontanato la paura osservando il cielo,
stabilendo dove sarebbe sorta la luna, dove sarebbe comparso il sole la mattina.
Mi sono vista in relazione con le stelle.
Ho cominciato a piangere e ho capito che stavo bene.
Ecco come uso la geometria oggi.
Il miracolo è che sono in grado di farlo – grazie alla geometria.
Louise Bourgeois Distruzione del padre / Ricostruzione del padre
Scritti e interviste, Quodlibet, 2009
Dall’illimitato…disorientamento
Sì, l’esperienza di analizzante “sveste” dalle identificazioni: alcune banali, di una stoffa un po’ consunta e di poco conto. Può far piacere addirittura…quando poi ci si spoglia di taglie/tagli che non soddisfano per nulla lo specchio. Poi si arriva a quelle più proprie al romanzo che ci si è scritti nella propria esistenza. Quelle che resistono ad essere tolte: sono invisibili, ma vedono, accecando, in silenzio.
Sono oltre lo specchio, pur annodate ad esso. Silenziose, invisibili ed operative, come lo è il proprio singolare fantasma.
Dal difetto di universalità
E del desiderio dell’analista? Sì, lo si è incontrato nel romanzo del proprio sintomo incolto, vestito di sembianti tinti fallicamente: un nome qualunque, annebbiato. Ci vuole del tempo a poterlo leggere, interpretare, svestirlo di identificazioni, rettificare: che commedia! Incontrare, imbattersi nel fallo che si riceve e si dà nell’impossibilità.
Un desiderio che si incontra nel desiderio di Freud, di Lacan che lo legge e decifra, nel transfert. Una funzione operatoria che nel dispiegarsi del parlessere alle prese con il significante ne circoscrive atti singolari.
Rompere la pietrificazione sedimentaria del sapere, che copre il buco, bellamente col magma e la sostanza metamorfica, è tragicomico, a seconda delle punteggiature, dei punti che si incontrano, duri ad essere scolpiti o tagliati. Metonimie, metafore, immagini. Visioni, sogni. Stili: figurativi, surrealisti… astratti.
Grazie alla mancanza
Poi, o meglio, innanzi tutto, in apres-coup, il resto, inerte, materiale, ma “non abbastanza materialistico”, come dice Lacan nel Seminario XX. Scarto singolare, prezioso… ossimoro. Invenzione in solitudine, che testimonia di un godimento singolare rispetto al nulla, “…al reale in quanto non può essere pensato se non come impossibile. Vale a dire che ogni volta che fa capolino è impensabile” dice Lacan nel Seminario XXIII Il Sinthomo.
Ma è operativo, questo resto. Fa riannodare un rinnovato legame con l’inconscio, in un mondo rovesciato ad esso: un mondo che sostiene l’Uno, negandolo, credendoci e non credendoci.
Lacan, con il suo “C’è dell’Uno” fa da vomere, taglia la selva oscura e satura dell’amore, regno dell’Uno. Una punteggiatura che fa transitare nel molteplice per approdare ad un posto singolare, unicamente e singolarmente a proprie spese! Per poi ritrovarsi nella Scuola del Campo freudiano, ciascuno a modo suo a testimoniare del proprio atto, del proprio singolare godimento, in cui l’inconscio pulsa, nell’ex-sistenza dell’atto analitico.
Passaggio
Singolare chirurgo sì, dalla parte dell’inconscio, disarticolando lo scorrere infinito della catena significante che inonda e fissa i parlesseri nell’illusoria ricerca di un godimento perduto.
Scultore del proprio resto: di identificazioni, di godimento, di passaggio.