Molteplicità delle identificazioni unicità del godimento. Uno, nessuno e centomila?
Gianni Lo Castro
Nella terra di Pirandello, perché non lasciarsi interrogare dalla molteplicità e dalle sue vicissitudini? Dall’idea dell’“Uno,nessuno e centomila”?
Nel 1925, anno in cui di Freud vedevano la luce “Inibizione, sintomo e angoscia” e gli scritti sulla “Negazione”, lo scrittore siciliano dava alle stampe “Uno, nessuno e centomila”. Il romanzo era il frutto di un travaglio che aveva avuto inizio nel 1909, l’anno del piccolo Hans e del viaggio in America di Freud e delle sue Conferenze sulla psicoanalisi. Rimaneggiamenti e modifiche avevano accompagnato le vicissitudini della prima guerra mondiale ed i cambiamento sociali che avevano sempre più fatto maturare una precisa coscienza: le forze che agiscono all’interno dell’essere umano non sono così facilmente gestibili come il suo io vorrebbe. La ricerca della “autenticità”, che era stato il grande tema portante delle opere del futuro premio Nobel, aveva retto sino al magnifico epilogo di: Uno, nessuno e centomila. Il romanzo in cui il personaggio principale, Vitangelo, scopre, parlando con la moglie, che ognuno si è costruito una sua idea di lui, e che questa non coincide con quella che egli ha di sé.
Sarà a partire da questa scoperta che egli inizierà la ricerca del vero “se stesso”, incontrando non solo la questione della duplicità, della divaricazione tra immagine di sé e immagine vista dall’altro, ma soprattutto la scoperta che ciò che l’altro vede è l’unicità del corpo e non la molteplicità delle costruzioni soggettive del contenuto della mente. Contenuto che, come un sottosuolo, dice l’autore, si sottrae alla presa, scomparendo giusto appena il soggetto ha la sensazione di averlo afferrato.
Per lo scrittore la molteplicità ha a che fare si, con i contenuti della mente, ma anche con il soggetto in quanto in relazione all’altro: “Così è se vi pare!”, titola ancora infatti. Un “pare” che è dell’ordine dell’apparire, che ha della funzione dello sguardo, così come, lo abbiamo appreso da Lacan, avviene nello stadio dello specchio. Si tratta di uno sguardo che crea, che fa esistere, seppure senza garantire che ciò che si produce appartiene al soggetto. Lo fa attraverso la molteplicità delle identificazioni che ambiscono a garantire quel godimento che deriva dall’essere riconosciuti. Eppure, come Vitangelo dice, è proprio questo che, appena balenato sotto la forma della illusione di avere finalmente raggiunto la propria verità profonda, immediatamente sparisce, per riapparire, per ricomporsi, inutilmente, come aspetto dell’io cosciente.
La clinica contemporanea ci mostra costantemente le vicissitudini di un parlessere che, “uno, nessuno e centomila”, si muove, personaggio in cerca di un Altro che di lui sia l’autore, poiché “L’individuale non è altro che il soggetto del collettivo”, così come diceva Lacan nel 1974, è arrangiandosi con la molteplicità delle identificazioni che egli spera che il suo altro lo possa includere tra i suoi oggetti godimento.