Il corpo nella cura psicoanalitica
Paola Bolgiani
La psicoanalisi nasce, alla fine dell’Ottocento, a partire dalla sofferenza nel corpo portata dai soggetti isterici, sofferenza che rappresentava un enigma per la medicina dell’epoca.
Che farsene del proprio corpo in quanto sessuato, dal momento che i “discorsi stabiliti”[1]non sono sufficienti a rispondere a questa questione: ecco quello che i soggetti isterici, donne per lo più, mettono in rilievo in un’epoca in cui il discorso dominante prescriveva loro un indirizzo ben preciso. Sposarsi, essere fedeli al proprio marito, avere dei figli… le donne isteriche che mettono a soqquadro l’ambiente medico dell’epoca fanno obiezione in atto a tutto questo; prova ne è il fatto che il potere medico non ne riconosce lo statuto di sofferenza, tacciandole di simulazione, e gettando, come dice Freud, un “discredito che si estendeva tanto ai malati, quanto ai medici che se ne occupavano”.[2]
C’è voluta la posizione particolare di Freud, che rinuncia al potere medico che vuole avere la meglio sul sintomo nel corpo dell’isterico, in favore di un sapere che non è già lì, per mettersi all’ascolto di questi soggetti. Freud scopre così che il sintomo nel corpo è fatto di stoffa di linguaggio; scopre che va decifrato perché dischiuda il suo senso inconscio. E al contempo scopre che racchiude un di più, un soddisfacimento pulsionale che lo àncora, che rende arduo il lavoro di decifrazione e che allontana l’ideale di un completo riassorbimento del sintomo nel linguaggio.
Introducendo la triade Immaginario, Simbolico e Reale, Lacan ci ha permesso di leggere i fenomeni del corpo che incontriamo nella clinica consentendoci di ordinarli a partire da questa bussola. Come nello svolgersi della sua elaborazione, così nel corso di una cura analitica i tre registri in cui il corpo si declina vengono in rilievo, passando da una preminenza immaginaria e simbolica alla dimensione del corpo reale, pur essendo queste tre dimensioni articolate e presenti fin da subito, cosa di cui l’analista deve essere avvertito.
Nella sua elaborazione, Lacan ci spinge sempre più verso una dimensione del corpo che, al di là delle identificazioni immaginarie, al di là della cifratura simbolica, porta in primo piano il godimento, il corpo come ciò che fondamentalmente “si gode”.[3]
Oggi, quando i “discorsi stabiliti” sono sempre più labili, vediamo quanto sia prezioso per la nostra clinica l’apporto di Lacan e in modo particolare, del suo ultimo insegnamento.
In un’epoca in cui la realtà cosiddetta virtuale sembra rendere superfluo l’incontro dei corpi, incluso nelle relazioni di cura; in cui la scienza offre possibilità sempre più ampie e impensate di intervento diretto per modificare l’organismo e le sue funzioni; in cui il mercato offre quotidianamente e a domicilio oggetti sempre nuovi per godere del e nel corpo, ci interroghiamo su quale sia il posto del corpo nella pratica della psicoanalisi orientata da Freud e Lacan. La nostra contemporaneità mette infatti in rilievo come, non solo nelle psicosi, i soggetti siano confrontati alla necessità di trovare un uso al proprio corpo e ai suoi organi e come ciascun soggetto debba fare il proprio bricolage per annodare insieme corpo, linguaggio e godimento attraverso un sinthomo. A volte ciò si produce con l’ausilio e l’accompagnamento di un analista.
La Giornata Clinica Nazionale è dunque dedicata a discutere, a partire dall’esperienza di quattro casi clinici e della loro conduzione, sul posto che ha il corpo nella cura psicoanalitica, sulla declinazione del corpo nei registri immaginario, simbolico e reale e sul modo di trattamento che un analista ha messo in atto per favorire un annodamento a misura del parlessere particolare che incontra.
Paola Bolgiani
[1] J. Lacan, Lo stordito(1972), in Altri Scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 472.
[2] S. Freud, Charcot, Opere, Bollati Boringhieri, Torino, vol. 2, p. 112
[3] Cfr. J.-A. Miller, L’inconscio e il corpo parlante, in Scilicet. Il corpo parlante. La psicoanalisi nel XXI secolo, Alpes, Roma, 2016.
PERCHÉ UNA GIORNATA CLINICA NAZIONALE?
Perché discutere di casi clinici?
Perché, a fianco del controllo, che resta lo strumento fondamentale per mettere alla prova e verificare la posizione di chi conduce una cura, la messa in discussione pubblica del caso è lo strumento che abbiamo per mettere alla prova il nostro atto in quanto analisti.
Perché solo nella discussione con altri possiamo imparare e rettificare la nostra posizione.
Perché la clinica ci pone ogni volta questioni inedite su cui, insieme, possiamo avanzare a far avanzare la psicoanalisi.
Perché la psicoanalisi è una prassi che esiste solo nella misura in cui è viva nella pratica quotidiana, in una logica dell’après coup che è quella che guida l’etica della psicoanalisi.
Perché…
Paola Bolgiani