Giuseppe Salzillo
Una pratica senza standard ma non senza principi
Genitori, operatori, insegnanti, giorno dopo giorno, sono sempre più esausti di fronte all’impossibilità di entrare
in contatto con i bambini autistici. Ecco l’idea di assoggettarli ad una modalità di apprendimento standard,
ecco che miracolosamente sappiamo come fare e che cosa esigere da loro.
Lacan a proposito della chiusura dei bambini autistici ha detto “non vi ascoltano perché ve ne occupate!”
Allora, come occuparci di loro senza essere intrusivi?
Evitando che loro debbano difendersi da noi?
La psicoanalisi offre un approccio radicale. Una pratica che consente a chi si occupa di loro
(operatori, insegnanti, clinici…) di sintonizzare il proprio desiderio con la clinica.
Un approccio aperto all’imprevisto. Aperto a ciò che accade. All’evento.
La clinique à plusieurs teorizzata da Di Ciaccia, ci orienta bene a tal riguardo. Ogni operatore,
che lavora in campo istituzionale (comunità residenziali, scuole, servizi sociali, ospedali…),
orientato dalla psicoanalisi, può mettere in atto una strategia che gli è propria, ma questa strategia
dovrà iscriversi in una pratica fondata sul lavoro d’Equipe, attraverso una lettura condivisa.
L’obiettivo è far sì che le azioni degli operatori, ispirate dalla singolarità della
propria posizione, possano essere orientate: l’atto di ciascuno diventa così un atto soggettivo e allo stesso
tempo un modo di dare forma ad una pratica emersa da una lettura collettiva.
Chi ha avuto modo di lavorare con i bambini autistici e psicotici, ha dovuto imparare, sulla propria pelle,
che c’è un’alternanza tra fasi in cui l’Equipe riesce ad assumere la funzione di principio “orientante”
degli atti dei singoli operatori e momenti in cui non vi riesce. Questo ultimo caso determina una
frammentazione che produce i suoi effetti inevitabilmente anche sui pazienti. In questo caso la dimensione
immaginaria e regressiva all’interno del gruppo di lavoro si amplifica. È così che prendono piede
le dinamiche frammentarie che danno origine ad angoscia, senso d’impotenza, aggressività,
sfiducia reciproca, smarrimento. È in questi frangenti che emerge la spinta dei singoli operatori a
mettere in atto manovre personalistiche sui pazienti, manovre svincolate da quei riferimenti o
rientanti, manovre che aprono il campo a dinamiche speculari di tipo fantasmatico. Il rischio è che
il narcisismo dell’operatore si trasformi in un vero e proprio “delirio”. Il rischio di un “vuoto di simbolizzazione”
nell’Equipe altera profondamente la lettura dei fatti.
Se l’Equipe funziona bene, se in essa si riconoscono tutti gli operatori, essa può funzionare come spazio di
risanamento simbolico di quelle dinamiche distruttive e autodistruttive tipiche dell’autismo e della psicosi.
L’Equipe dovrà adoperarsi per una permanente elaborazione collettiva del “non- sapere” che la riguarda rispetto
ai pazienti, e ogni volta, ciclicamente, dovrà essere “reinventata” soprattutto nei momenti di crisi e di stagnazione.
Ma in cosa consiste la clinique à plusieurs? Credo che la definizione migliore che ho trovato sui testi sia
“un trattamento dell’Altro del paziente autistico”. Ossia un intervento sull’Equipe. Ovvero su chi si occupa di loro. Compreso chi
concorre nella cura (insegnanti, genitori, istituzioni…).
Quella dell’operatore (educatore, psicologo, personale sanitario…) dovrà essere una presenza desiderante
al servizio di un’offerta d’incontro. È necessario cioè inventare un Altro non intrusivo, non persecutorio.
Deve essere un Altro capace di cancellare la presenza troppo reale con una noncuranza calcolata.
Come dice Virginio Baio, l’operatore deve essere “qualcuno e chiunque”. “Chiunque”, poiché l’operatore dovrà
destituirsi del proprio Io, stando attendo a non lavorare partendo dal suo fantasma. Essere “qualcuno”,
invece, non significa mettere in gioco il proprio narcisismo o fantasmatico modo di abitare il mondo,
non significa mettere in gioco un Io forte, un Io che crede di essere chi sa cosa. In fondo ognuno di noi
ha il proprio fantasma, ognuno di noi crede di essere “qualcuno”. Come alleggerirsi dunque dal proprio fantasma?
È necessario un processo di una psicoanalisi. Tuttavia non si può chiedere a tutti gli operatori, che concorrono
nella cura, di essere in analisi. Come può dunque ogni operatore riuscire a sostenere il suo desiderio di lavoro
senza farlo poggiare sul fantasma? L’operatore dovrà separarsi da ciò che crede di “sapere su se stesso”
per fare posto ad un “altro sapere”, sempre in attesa di essere riconosciuto a plusieurs. Questo sapere riguarda
il posto che il bambino autistico può prendere come soggetto.