Paola Bolgiani LINEE GUIDA La linee guida già da diversi anni dominano nel campo medico e psichiatrico come strumento per uniformare gli interventi, sullo stesso modello dei vari DSM che si pretendono ateorici e dunque capaci di accordare formazioni e orientamenti diversi sotto un unico riferimento. Tuttavia nelle linee guida di stampo medico più o meno esplicitamente si può cogliere quale sia il modello teorico, o comunque il paradigma di riferimento, modello da cui discendono gli obiettivi che vi sono logicamente e coerentemente correlati, sui quali d’altra parte si baserà la valutazione della riuscita o meno dell’intervento stesso. Per quanto riguarda l’autismo, le Linee Guida per l’autismo redatte dalla Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile, pur facendo riferimento a diversi *modelli interpretativi* per quanto riguarda la clinica, le basi neurobiologiche e i fattori causali, specificano che l’autismo viene considerata una sindrome *definita in termini esclusivamente comportamentali*.[1] Conseguentemente gli obiettivi del trattamento sono espressi con queste parole: *La finalità a lungo termine del progetto terapeutico è favorire l’adattamento del soggetto al suo ambiente*, il che si specifica con il *correggere comportamenti disadattivi; […] pilotare la spinta maturativa per favorire l’emergenza di competenze che possano favorire il futuro adattamento del soggetto all’ambiente in cui vive; […] favorire lo sviluppo di un soddisfacente adattamento emozionale*.[2] Sarà pertanto la misurazione del grado di raggiungimento di tali obiettivi a costituire il riferimento per la valutazione dell’intervento. In altre parole, se per esempio un bambino autistico impara a gettare la carta straccia nella spazzatura ciò sarà valutato positivamente in termini di adattamento all’ambiente e di riduzione dei comportamenti disadattivi. Nulla si potrà dire ad esempio del suo senso civico, ma d’altra parte ciò non era considerato rilevante al fine del trattamento del disturbo. In questo campo la psicoanalisi può trovare un posto, purché gli psicoanalisti siano in grado di chiarire qual è il suo campo di riferimento, quali sono i suoi obiettivi e conseguentemente cosa valuterà del suo intervento. Se il suo campo di riferimento è quello dell’essere che patisce del trauma del linguaggio, ebbene la sua finalità non sarà affatto quella di adattare qualcuno all’ambiente, bensì quello di trovare per ciascun soggetto una modalità vivibile in quel *disadattamento* fondamentale che l’essere parlante è. Sarà dunque un controsenso invocare le stesse modalità valutative utilizzate in un altro paradigma di riferimento – come l’evidenza sperimentale – così come non avrebbe alcun senso che la psicoanalisi pretendesse che un trattamento cognitivo comportamentale sia valutato in termini di emergenza del soggetto. Su questo piano gli psicoanalisti hanno una grande responsabilità: quella di esplicitare quanto più possibile qual è la logica del loro intervento e a che cosa essi mirano. Forse gli psicoanalisti non sono così estranei al fatto che si sia prodotto tanto livore e tanto odio verso la psicoanalisi da parte in particolare di molte associazioni di famigliari. Forse di questo livore e di questo odio possiamo farci carico sforzandoci di mettere in logica il nostro modo di operare con il bambino autistico, affinché si possa produrre della fiducia, condizione indispensabile perché un lavoro si possa avviare. Ogni volta che siamo in grado, con un famigliare o con un operatore di un Servizio, di proporre una ipotesi che possa mettere in rilievo come quello che appare come *comportamento disadattivo* sia piuttosto una risorsa del soggetto, e come la nostra implicazione possa produrre in questo un cambiamento che renda quel comportamento più vivibile per il bambino e anche per chi vi sta intorno, ebbene ogni volta che siamo in grado di fare questa operazione abbiamo fatto sentire quale logica orienta il nostro intervento e a quale obiettivo puntiamo. Su questo piano non si tratta tanto di rivendicare dall’Altro un posto per la psicoanalisi, ma di operare nelle istituzioni che svolgono attività di accoglienza e di cura, con le famiglie, con gli operatori dei Servizi, negli incontri istituzionali, in maniera tale da conquistare o riconquistare un posto per la psicoanalisi a partire dalla testimonianza del rigore logico su cui essa fonda il proprio intervento. Ora il nostro tempo vede un nuovo e più inquietante uso delle linee guida, che da mezzo per organizzare un sapere scientifico sempre comunque parziale – e che le linee guida lo contemplino o meno, questa parzialità è tuttavia dimostrabile – sono divenute strumento legislativo finalizzato ad uniformare i comportamenti al fine di controllare e pianificare le spese dei Servizi Sanitari e sociali. Esse divengono dunque strumento della politica e di una politica ridotta ad amministrazione e distribuzione delle risorse economiche. E’ un salto non indifferente in quanto si assiste ad una delegittimazione non solo di certi tipi di terapie, ma anche e soprattutto delle loro finalità: definendo come *ammessi* solo alcuni trattamenti, infatti, le linee guida stabilite per legge definiscono anche che i trattamenti possono avere una e una sola finalità, l’adattamento. Il soggetto è estromesso per legge. Così, in un documento del 2006 dell’Assessorato alla Sanità della Regione Piemonte, si legge che *i trattamenti senza evidenza di efficacia o considerati non raccomandabili nelle linee guida internazionali non hanno alcuna valenza terapeutica*,[3] producendo un rovesciamento formidabile: la valenza terapeutica non deve essere dimostrata in relazione al campo di riferimento adottato, bensì essa è stabilita per legge a partire dall’inclusione previa nelle linee guida. La partita che oggi la psicoanalisi si gioca sul tema dell’autismo – ma non solo, anche in tutti i campi in cui la politica, attraverso il legislatore, interviene a definire quale debba essere la finalità di una cura – è dunque tanto maggiore in quanto mette in gioco da un lato la finalità di una cura, e dunque l’etica dello psicoanalista, dall’altro la libertà del soggetto di scegliere, anche laddove la sua scelta sia *non adattata*
[1] SINPIA Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Linee guida per l’autismo, Erickson Edizioni, Trento 2005, p. 11
[2] Ibidem, p. 71
[3] Assessorato alla Sanità Regione Piemonte, Autismo e Disturbi pervasivi dello sviluppo. Programma di governo clinico per i disturbi neuropsichiatrici in età evolutiva, 2006