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Il mio ringraziamento a J. Lacan Raffaele Calabria Ho scoperto J. Lacan in coincidenza del mio ingresso nei servizi sanitari in qualità di psicologo, circa trent’anni fa. E da allora non ho più potuto fare a meno del suo nome, dei suoi testi e di tutti coloro che mi hanno aiutato a saperlo leggere. Posso dire che l’ho avuto come costante e quotidiano compagno-maestro nel mio percorso istituzionale, nelle vesti sia di colui che mi rimetteva sempre in gioco quando la mia disperazione mi spingeva a ritrarmi dal consesso sociale e lavorativo, sia di colui che mi sferzava con le sue pungenti e ricche oscurità dandomi la possibilità di fare piccoli passi in avanti nel mio incerto incedere professionale. Non ho potuto fare a meno di lui perché il suo pensiero è sempre stato avanti, imprendibile, inarrivabile, ed ha saputo propormi imperituri interrogativi la cui vastità ha regalato alla mia piccola e ristretta mente orizzonti vitali e frescure inebrianti. L’ho utilizzato per rinforzare le mie autoaccuse circa la mia incapacità di riconoscere ed adattarmi ai cambiamenti che la società in questi ultimi anni ha manifestato; l’ho storpiato a mio piacimento quando mi nascondevo dietro le sue più famose apodittiche affermazioni; me ne sono persino vergognato quando venivo additato come un suo seguace. E lui sempre lì, fermo come una roccia, a ricordarmi il rigore del discorso psicoanalitico, a confutare le mie credenze e pregiudizi, ad orientarmi nel mio desiderio, a spingermi a rileggerlo più e più volte senza ambagi e con rinnovata passione. E’ grazie a lui se la mia pratica lavorativa ha trovato la forza di modificarsi a più riprese, rivelandosi al passo con le nuove ed inquietanti domande che i sintomi contemporanei presentano. Perché è sempre grazie a lui che ho potuto contrastare la infernale e noiosa abitudinarietà cui la mia struttura mi costringe. Il desiderio dell’analista, l’oggetto a ed il reale: concetti così turbolenti ed innovativi che hanno smosso le mie più recondite latebre donandomi, tra notti insonni e viaggi stancanti, piccole ma vivificanti intuizioni. L’elenco potrebbe durare quasi all’infinito: ogni sua frase, ogni piccola locuzione, persino ogni parola dei suoi Scritti risuona del suo genio e delle mie fatiche mai inutili. Non oso pensare cosa sarebbe oggi la psicoanalisi senza Lacan, ma so per certo che è solo grazie al suo insegnamento che nel mio luogo di lavoro, con umiltà e con orgoglio, sostengo l’importanza di un ritorno alla clinica, ribadisco la necessità di prendere in attenta considerazione le parole dei nostri pazienti, rifuggo il fascino narcisistico del potere, offro le mie parole affinché una dialettica persista al di là del rigido regime controllante e valutativo che l’aziendalizzazione sanitaria ha sposato. Ringrazio J. Lacan, e la psicoanalisi da lui rifondata, perché mi concede di vivere in questo mondo difficile e tormentato. Li ringrazio perché mi hanno insegnato, tra l’altro, a non spaventarmi né ad indietreggiare di fronte all’angoscia (segnale di quell’impossibile in gioco il cui incontro è spesso foriero di novità sorprendenti e creatrici). Li ringrazio per avermi fatto assaporare di un sapore nuovo le crisi che hanno e che attraversano la mia storia. Li ringrazio perché mi ricordano ad ogni istante di non cedere sul mio desiderio, fino alla morte reale.