Si inoltra il testo di Jean-Claude Maleval uscito su LQ 155. E’ un testo molto importante sulla questione dell’autismo. Paola Bolgiani Moderatore Lista SLP Corriere
Gli autistici che scrivono non sono dei ‘letterati folli’. Non credono, come questi ultimi, di aver fatto una grande scoperta. Sono dei soggetti da prendere sul serio. Si esprimono per far sapere che sono degli esseri intelligenti, per essere trattati con più considerazione e per far sì che che vengano rispettate le loro invenzioni architettate per contenere l’angoscia. Forse che si augurano che venga legalmente interdetto il loro ascolto per sottometterli, più spesso senza il loro consenso, a dei metodi di apprendimento? Bisogna prendere il partito di ascoltarli o quello di contraddirli? Scegliere di ascoltarli espone a confrontarsi con delle opinioni che disturbano. Una delle autistiche ad ‘alto funzionamento’ tra le più conosciute, Donna Willliams, non esita, di fronte alla questione del trattamento dell’autismo, a dichiarare con forza: “Il migliore approccio” – scrive – sarebbe “quello che non vendesse l’individualità e la libertà del bambino a vantaggio dell’idea di rispettabilità e impressionabilità dei genitori, degli insegnanti o dei consulenti” (Nessuno in nessun luogo, Armando, Roma 2006, p. 172-173) Un’altra autistica, Temple Grandin, conferma: « Le persone che maggiormente mi aiutarono furono sempre quelle più creative e meno convenzionali » (Pensare in immagini, Erickson, Trento 2001, p. 107). La psicoanalisi non è una, è multipla come lo sono le pratiche psicoanalitiche; eppure hanno tutte un punto in comune: sono fondate sull’ascolto dell’altro. Pensare di interdire legalmente l’ascolto di un gruppo umano rivela un’ideologia politica soggiacente tra Ie più inquietanti. Certamente non ogni ascolto è psicoanalitico, ma come farà il legislatore a fare la differenza tra la pratica nociva dell’ascolto psicoanalitico e quella benefica autorizzata? Il suo ruolo, inoltre, è quello di raccomandare gli approcci sordi all’ascolto delle particolarità del soggetto autistico? Questo sembrerebbe in rottura con la Dichiarazione dei diritti delle persone autistiche, proposta da Autismo Europa e adottata dal Parlamento Europeo il 9 maggio 1996. In questo documento si chiede di riconoscere e di rispettare i desideri degli individui, in modo che gli autistici abbiano « il diritto di non essere esposti all’angoscia, alle minacce e ai trattamenti abusivi ». Come si potrebbe fare tutto ciò senza essere in ascolto di quanto loro stessi ci dicono? Tutte le pratiche psicoanalitiche hanno in comune di raccomandare il rispetto del singolo e il suo non riassorbimento nell’universale. E’ quanto desiderano all’unanimità gli autistici che si esprimono. Non è in primo luogo agli studi randomizzati, che permettono una valutazione scientifica impeccabile, che conviene chiedere come trattare l’autismo; sono gli stessi soggetti implicati che ci insegnano di più. Essi possiedono un preciso sapere su loro stessi. Dobbiamo prendere seriamente i consigli dati da Jim Sinclair ai genitori, consigli che si rivelano molto utili anche per gli educatori e i clinici: « I nostri modi di entrare in relazione – afferma in nome degli autistici – sono diversi. Insistete sulle cose che le vostre aspettative considerano come normali e incontrerete la frustrazione, la delusione, il risentimento, forse anche la rabbia e l’odio. Avvicinatevi rispettosamente, senza pregiudizi, e preparatevi ad imparare cose nuove e troverete un mondo che non avreste mai potuto immaginare” (J. Sinclair, Don’t mourn for us. Autism Network International, in Our voice, 1993, 1, 3). Un’autistica mutacica e colta come Annick Deshays mostra la sua veemenza nel rivendicare una presa in carico degli autistici che non ceda sulla loro singolarità: « Perché fare delle discussioni su degli scritti ufficiali che riguardano la presa in carico delle persone autistiche se gli interessati stessi non hanno diritto alle informazioni, ancor meno alla parola? » scrive sul suo computer (A Deshays, Libres propos philosophiques d’une autiste, Presses de la Renaisssance, Paris 2009, p. 57). Lei si oppone ai metodi educativi che disegnano a priori il programma delle tappe dello sviluppo da superare: « Disegnare un piano scientifico di educazione con gli autistici, in modo uniforme e unilaterale, produce un regime di dittatura protettrice. […] Occorre trovare la facoltà (o le facoltà) di ogni persona autistica prima di stabilire un cammino educativo ». Considera inoltre che: « Fare del comportamentalismo è incitare a renderci ‘facili’ attraverso una formattazione che riduce la nostra libertà di espressione; è inasprire iI nostro grave problema di identificazione e umanizzazione ». Cerca così di farsi capire dagli specialisti per far passare questo messaggio: « Dire a chi decide fin da oggi, che pensare per noi rischia di svuotare la «sostantifica midolla» (Rabelais) della nostra ragione di esistere ». Contrariamente a questi metodi, lei esalta « il rischio di un dialogo » e la volontà di « addomesticare la paura che isola », invita poi a cercare di « apprezzare i tratti umoristici propri » allo stile che gli autistici hanno di guardare la vita ». Tutto questo – lei aggiunge – « obbliga a lavorare più in unicità che in uniformità, più in relazione duale che in contesti unilaterali ». Come la maggior parte degli autistici, lei chiede di essere considerata come un soggetto capace di creatività che è bene tenere in conto: « Issiamo le nostre conoscenze secondo il nostro buon volere – sottolinea – dispiegando un potenziale che ci è proprio. […] Più prendo parte alle decisioni che mi riguardano – aggiunge lei – più ho l’impressione di esistere interamente ». Se non vengono ascoltati, molti autistici finiscono per rassegnarsi a ciò che si impone loro; in compenso, quando il soggetto possiede i mezzi per esprimersi emerge sempre. Così Donna Williams non nasconde la sua ribellione in presenza di certe tecniche educative. Negli anni ’90 fece uno stage in una casa specializzata per bambini in difficoltà osservando due educatori zelanti nel loro lavoro con una bambina autistica. Fu colpita dal fatto che loro non conoscessero il mondo interiore del bambino. « Rimasi lì. Soffrendo per quel bombardamento del suo territorio personale da parte dei loro corpi, del loro respiro, del loro odore, delle loro risa, del movimento e del loro rumore. In modo maniacale scuotevano sonaglini, muovevano oggetti davanti alla bambina come se fossero un paio di zelantissimi stregoni che sperassero di spezzare il malvagio incantesimo dell’autismo. La loro interpretazione dell’avvertimento sembrava essere quella di sovraccaricare la bambina di esperienze che, nella loro infinita saggezza di ‘mondo’, le avrebbero portato. Ebbi l’impressione che, se avessero potuto impadronirsi di un ‘piede di porco’ e usarlo per aprire la sua anima e ficcarle dentro ‘il mondo’, lo avrebbero fatto senza mai accorgersi che il loro paziente era morto sul tavolo operatorio. La bambina gridava e si dondolava, le braccia alzate contro le orecchie per tener fuori il rumore e gli occhi incrociati per arrestare il bombardamento del ‘rumore visivo’. Guardavo quella gente e avrei voluto che imparassero cosa fosse l’inferno sensoriale. Stavo assistendo ad una tortura, in cui la vittima non aveva nessuna possibilità di difendersi con qualsiasi linguaggio comprensibile […] Erano chirurghi che operavano con attrezzi di giardinaggio e senza anestetico » (Qualcuno in qualche luogo, Armando, Roma 2005, pp. 28-29). Senza dubbio si ispiravano ad un metodo classico di apprendimento, che consiste nel presentare uno stimolo in sequenze ripetute, osservare poi la risposta del bambino e dare qualcosa per rinforzarla o inibirla. Una applicazione sistematica di questi principi viene raccomandata dal metodo ABA, fondato da Lovaas, almeno per 2 anni, in ragione di 40 ore a settimana, con dei bambini il cui consenso non è ricercato, anche se si sa che la maggior parte di loro percepiscono le domande come intrusive e minacciose. Fin dalla sua apparizione la psicoanalisi disturba, rivelando che l’uomo non è padrone di se stesso; contrariamente alle illusioni della ragione, essa non annuncia una buona novella. Tuttavia la psicoanalisi perdura malgrado le critiche incessanti che testimoniano prima di tutto la sua vitalità. Attualmente, è sul terreno dell’autismo che si concentrano gli attacchi contro la psicoanalisi. In Francia – ad esempio – vengono in particolare da Autismo Francia, associazione di genitori da cui il deputato Fasquelle riprende l’argomentario in favore del metodo ABA, sottoponendo un progetto di legge che mira ad interdire le pratiche psicoanalitiche. In primo luogo, tra queste, il packing, già praticato da Esquirol cinquanta anni prima della nascita di Freud sotto il nome di fasciatura umida. I fautori del metodo ABA sono recentemente usciti dalla controversia scientifica legittima producendo un film di propaganda severamente condannato dalla giustizia francese in seguito alle rimostranze degli psicoanalisti intrappolati dalla regista del film. I difensori di Sophie Robert, la regista, hanno tentato di sostenere che questa condanna, se venisse confermata, condurrebbe anche all’interdizione dei film di Mickael Moore. Realizzatore americano di film impegnati (Bowling for Columbine, Farenheit 9/11), Mickael Moore ha subito numerosi processi, ma li ha vinti tutti. Ci deve dunque essere una differenza tra la sua pratica e quella di Sophie Robert! Due sembrerebbero evidenti. Mickael Moore si mette in scena e filma le domande che pone ai suoi interlocutori, Sophie Rober non appare e nel montaggio separa certe domande dalle risposte cambiando così il senso della stessa risposta. Inoltre Mickael Moore interroga delle personalità rappresentative delle opinioni che combatte; mentre Sophie Robert interroga, sicuramente certe personalità rappresentative, ma convoca pure degli psicoanalisti che nessuno conosce e che esprimono delle opinioni che interessano solo a loro stessi. Chi vorrebbe utilizzare la stessa modalità di propaganda per obiettare al metodo ABA, andrebbe a cercare un educatore che condivide questo metodo utilizzando ancora le punizioni corporali – e senza dubbio non sarebbe molto difficile trovarlo – vale a dire un nostalgico dei buoni vecchi elettrochoc inizialmente usati da Lovaas stesso. Si tratterebbe allora sicuramente di propaganda poiché il metodo esorta oggi a non ricorrere più ai condizionamenti avversivi e alle punizioni. In breve se Mickael Moore è così presente nei suoi film, se ne può dedurre che egli sia fiero di ciò che fa. Sophie Robert ha scelto di nascondersi. Delion, Golse, Wildlôcher e Danon-Boileau denunciano un « montaggio mutilato al servizio di una causa da dimostrare come vera” e che mira a ridicolizzarli. Gli psicoanalisti dell’École de la Cause Freudienne Laurent, Stevens e Solano, non sono indietreggiati nel fare un processo e la deformazione maliziosa dei loro interventi è stata confermata dalla giustizia. I sostenitori dell’ABA militano contro una psicoanalisi che talvolta essi inventano o della quale fanno solo la caricatura. La psicoanalisi colpevolizzerebbe i genitori. Questa tesi di Bettelheim sempre citata non veniva già condivisa ai suoi tempi. Essi rifiutano in maniera disonesta di considerare che nessuno psicoanalista serio la sostiene al giorno d’oggi. Sottolineano che l’autismo sarebbe un problema neurobiologico. Ora, i dati più probanti in favore di questa tesi mettono sempre in evidenza come degli elementi legati all’ambiente interferiscono con una possibile predisposizione genetica. Se è un fatto ben definito che questi diversi metodi applicati in maniera intensiva (e di preferenza al caso per caso) arrivano a modificare le condotte dei soggetti, si deve sottolineare che non esiste alcun trattamento biologico dell’autismo e che la scoperta della plasticità cerebrale rende conto dell’efficienza delle pratiche psicologiche così come quelle dei metodi di apprendimento. Sebbene siano ben intenzionati, questi ultimi incontrano dei limiti. La loro efficacia, constata il rapporto Baghdadli, è generalmente limitata all’acquisizione di una competenza specifica in base all’intervento effettuato, per cui non si giunge ad un cambiamento significativo della persona che beneficia dell’intervento (A. Baghdadli, M. Noyer, C. Aussiloux, Interventions éducatives, pédagogiques et thérapeutiques proposées dans l’autisme. Ministère de la Santé et des Solidarités, Paris. 2007, p. 261). Certamente, i metodi di apprendimento invocano a loro favore delle statistiche eloquenti che attestano la loro efficacia. Senza entrare in interminabili discussioni sulle loro interpretazioni e su ciò che viene realmente riportato dalle cifre, sottolineiamo soprattutto che è incontestabile che dei risultati almeno equivalenti possano essere ottenuti con altri metodi più rispettosi del soggetto. Attenendosi ai soli racconti di madri che sono pervenute, attraverso dei metodi empirici di ispirazione diversa, a far uscire il loro bambino dal ritiro autistico, sembra chiaramente che i miglioramenti ottenuti attraverso la dolcezza e il gioco non siano da meno di quelli acquisiti con la violenza e la coercizione. Quando negli anni ’60 i Copeland scoprirono che ricorrere alle « carezze-ricompense e agli schiaffi-punizioni » con la loro figlia migliorava nettamente il suo comportamento, essi credettero di aver trovato la chiave del trattamento dell’autismo così cercata per lungo tempo. « Essi cercarono dunque di farle toccare tutti gli oggetti davanti ai quali ella aveva provato terrore. Ed erano innumerevoli. La prima volta, ha urlato con tutte le sue forze e, a più riprese, sembrava impossibile andare avanti. Ma infine essi l’hanno presa saldamente per il polso somministrandole una punizione ad ogni tentativo di resistenza. Poiché tale era il metodo adottato, si doveva seguirlo. Ed effettivamente, nel corso di settimane estenuanti, le reticenze di Anne si sono sciolte nettamente! » (J. Copeland, Pour l’amour d’Anne, Fleurus, Paris 1974, p. 39). Ora, i miglioramenti ottenuti più recentemente da Anne Idoux-Thivet con suo figlio non sono minori, per quanto si sia sempre rifiutata di « usare il bastone e la carota », praticando una « Iudoterapia » orientata dalle reazioni, dalle angosce e dalle manifestazioni di curiosità del suo bambino » (A. ldoux-Thivet, Ecouter l’autisme. Le livre d’une mère d’enfant-autiste, Autrement, Paris. 2009). In breve, l’accostamento di queste due testimonianze opposte attesta che ciò che si può ottenere con la violenza può essere ottenuto ancor meglio attraverso il gioco. La cura di Dibs operata da Virginia Axline facendo leva sui giochi del bambino accompagnati da un approccio non direttivo, era stata documentata fin dagli anni ’60. Un’altra madre di un bambino autistico, Hilde de Clerq, considerando la diversità dei metodi arriva alla seguente constatazione, che non si può che sottoscrivere: « È ben più piacevole, per tutti, seguire il modo di pensare di questi bambini e di restare positivi, piuttosto che imporre loro di adattarsi e di essere costantemente confrontati a dei problemi di comportamento. La miglior strategia per evitare dei problemi di comportamento è di anticiparti » (H. De Clercq, Dis maman, c’est un homme ou un animal?, Autisme France Diffusion, Mougins 2002, p. 97). Ora, per fare ciò, è inevitabile prendere in conto i loro modi di lottare contro l’angoscia, cosa che trascurano le tecniche di apprendimento. Tutti i metodi di trattamento dell’autismo hanno i loro successi e i loro fallimenti. Questa diversità risulta in parte da differenze considerevoli nel funzionamento e nelle aspettative dei soggetti autistici. Tuttavia non tutti hanno la stessa posizione etica: per i metodi comportamentali e cognitivo-comportamentali la fonte del cambiamento è situata essenzialmente nelle mani dell’educatore, assecondato dai genitori; invece per i metodi che tengono conto della soggettività, si tratta di stimolare e di accompagnare una dinamica del cambiamento inerente al bambino. I metodi psicodinamici scommettono su una responsabilità del soggetto che può condurre fino alla sua indipendenza attraverso dei percorsi che sono da inventare e non programmati in anticipo (chi avrebbe dato fiducia ai compagni immaginari di Donna Williams o alla macchina immobilizzatrice di Temple Grandin?); gli approcci educativi operano un’altra scelta: essi lavorano con un bambino che dev’essere guidato sulla strada di uno sviluppo normalizzato, supposto valido per tutti. Di conseguenza essi giungono a migliorare la sua autonomia, ma stentano a favorirne l’indipendenza. Numerosi sono oggi gli autistici di ‘alto funzionamento’ che testimoniano come siano pervenuti all’autonomia e poi all’indipendenza, alcuni di loro non segnalano di aver beneficiato in modo significativo dei metodi educativi, tutti riferiscono invece di aver inventato dei metodi molto originali per rendere compatibile il loro funzionamento autistico con il legame sociale. La psicoanalisi del XXI° secolo non è la caricatura che spesso combattono alcune associazioni di genitori. La maggior parte dei suoi detrattori ignora che certi psicoanalisti (sicuramente su questo punto ancora in minoranza) considerano che l’autismo non è una psicosi, che al contrario dell’opinione della Tustin l’oggetto autistico può servire da appoggio prezioso per la cura, che le interpretazioni significanti o edipiche sono da bandire, che una “dolce forzatura” (Antonio Di Ciaccia) è necessaria per suscitare gli apprendimenti. Che cosa resta allora della pratica psicoanalitica? Essenzialmente la capacità di accompagnare il soggetto nelle sue invenzioni originali messe in atto per evitare l’angoscia. I metodi di apprendimento conducono a volte un autistico all’autonomia, ma mai all’indipendenza rispetto alla sua famiglia. Questi metodi d’altronde postulano che un seguito sarà sempre necessario. Numerose sono le esperienze singolari che contraddicono quest’affermazione. Le testimonianze degli autistici attestano che mai un autistico ha potuto accedere all’indipendenza senza aver beneficiato di un ascolto benevolo e del rispetto delle sue invenzioni. È logico, quindi, che quanti cercano di cancellare la parola degli autistici siano gli stessi che si adoperano per una propaganda caricaturale atta screditare i propositi degli psicoanalisti. Traduzione di Cristiana Grigoletto e Nicola Purgato, membro SLP (Antenna 112)