Uno dei campi in cui le neuroscienze prediligono esercitarsi è quello della memoria. Dico esercitarsi perché si tratta propriamente di esercizi atletici. Ci sono vere e proprie gare di memoria, e uno dei campioni attualmente più accreditati è Boris Nikolai Konrad, un neuroscienziato che è riuscito a memorizzare 280 parole e 195 nomi e visi in 15 minuti. Aveva sentito parlare di mnemotecnica al tempo dell’università, ha pensato di applicarvisi per facilitare l’impegno di studio, si è trovato bene e ha cominciato a partecipare alle competizioni.
La mnemotecnica non è proprio l’ultimissimo ritrovato del mondo moderno, giacché risale a Simonide di Ceo il quale, dopo il crollo della casa in cui si svolgeva una cena, riuscì a ricordare il nome di ognuno dei partecipanti nonostante i loro cadaveri fossero irriconoscibili, a partire dal posto a tavola che occupavano durante il banchetto. La mnemotecnica è una tecnica dei loci. Bisogna avere per esempio una casa di tante stanze, in ciascuna di queste si dispone l’elemento che si vuol ricordare, si fa mentalmente il percorso delle stanze e si ritrovano man mano gli elementi riposti. Ricordare è così ripercorrere.
I palazzi della memoria che venivano costruiti dai retori romani, Cicerone è l’esempio eminente, si trasformano ora sotto il tocco dei neuroscienziati in complesse architetture neuronali. Il cervello dei campioni viene analizzato con le tecniche di immaginografia per individuare gli schemi di connessione tra i neuroni, trovando – sorpresa! – che le differenze tra i campioni e i normali non sono poi così rilevanti.
Naturalmente ci si può domandare a che cosa serva acquisire la capacità di memorizzare liste di tanti nomi, al di là del partecipare a un campionato. Perché questo tipo di memoria è una memoria di liste, di elementi discreti, che si possono contare e oggettivare. La memoria della vita, la memoria inconscia sono tutt’altro. I ricordi che ci interessano nell’esperienza psicoanalitica sono essenzialmente i ricordi di copertura, cioè paradigmi, schemi di relazioni che insistono e si riproducono nella vita del soggetto influenzandone le scelte, le decisioni, l’orientamento. La memoria da campionato manca di quel che costituisce l’essenza della memoria viva, quella che ci accompagna nei nostri giorni di gioia o di dolore: la possibilità di dimenticare. Non possiamo ricordare nulla se non possiamo anche dimenticare.
La cosa preoccupante è che i neuroscienziati, per esempio alla Columbia University, hanno cominciato a pensare anche alla possibilità di dimenticare, ma a modo loro: hanno cioè considerato di liberarsi dei ricordi traumatici, dissociando – grazie a un farmaco che ancora non esiste ma di cui non dubitano la prossima ventura messa in produzione – l’esperienza dal segno che la inscrive in noi. Per esempio: se sono stato aggredito e nel frattempo un cane stava abbaiando, l’abbaiare del cane successivamente, fuori dal contesto traumatico, nei più diversi momenti della vita quotidiana, risveglierà il ricordo traumatico. Si tratta quindi di dissociare l’abbaiare del cane dalla sensazione di paura legata all’aggressione subita.
Vediamo subito così qual è il punto: un ricordo, nelle neuroscienze, è un oggetto manipolabile, non è mai un’esperienza soggettiva che fa parte inscindibilmente di me, che mi costituisce e rispetto al quale il problema non è liberarsene, come fosse il mattoncino eccedente di una costruzione, ma dargli un posto, reintegrandolo nel ritmo essenziale della mia vita.